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Channel: ANPI Provinciale di Roma

Il 27 febbraio 2025 ore 17 seminario di approfondimento "L'Italia e la questione del confine orientale"

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Il 27 febbraio 2025 alle ore 17 si svolgerà il seminario di approfondimento "L'Italia e la questione del confine orientale" con interventi di Davide Conti, storico e Giuseppe Cappucci dell'IRESS Lazio. Porterà i saluti Marina Pierlorenzi, presidente dell'ANPI provinciale di Roma.

A continuazione del percorso formativo rivolto agli iscritti e alle iscritte, avviato  l'11 febbraio scorso, questa volta affronteremo e approfondiremo la complessa questione del confine orientale. Questo Seminario, come il precedente, sarà fruibile in presenza o collegandosi al canale YouTube dell'ANPI provinciale di Roma e potrà essere utilizzato per momenti di formazione e riflessione futuri nelle nostre sezioni.

In presenza: Sala della Federazione Italiana Lavoratori Trasporti, Piazza Vittorio 113.

In diretta sul canale Youtube dell'ANPI Provinciale di Roma:
https://www.youtube.com/c/AnpiProvincialediRoma

1 marzo 2025: camminata per i luoghi del colonialismo italiano a Roma

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1 marzo 2025, camminata nei luoghi del colonialismo italiano a Roma. In collaborazione con la Rete Yekatit 12-19 febbraio.
    Percorso: Partenza alle 10 da Piazza San Francesco d'Assisi (sul piazzale davanti alla chiesa), Largo Ascianghi (WeGil), Via di Porta Portese, Ponte Sublicio, Via Marmorata, Via di Porta San Paolo, Piazza Albania, Viale Aventino, Piazza di Porta Capena. La camminata durerà circa 2 ore.

3 marzo 2025 - incontro dedicato ai docenti: 25 aprile 1945, il giorno in cui nacque la Costituzione

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L'assessora Claudia Pratelli e il consigliere delegato Daniele Parrucci invitano a:

3 marzo 2025 h 15:30 -  incontro dedicato ai docenti: 25 aprile 1945, il giorno in cui nacque la Costituzione.

Sala della protomoteca in Campidoglio.

Marco Fioravanti, Università Roma Tor Vergata; Davide Conti, storico; Marina Pierlorenzi, presidente ANPI provinciale di Roma.

Article 7

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24 febbraio 1945: Eugenio Curiel è assassinato a Milano

Mentre si reca ad un appuntamento clandestino, il comandante del Fronte della Gioventù (organizzazione giovanile della Resistenza italiana, denominazione successivamente usurpata dal movimento giovanile del neofascista Movimento Sociale Italiano) Eugenio Curiel è sorpreso a Piazzale Baracca da un drappello di militi delle Brigate Nere ed è riconosciuto da un delatore. I fascisti sparano a bruciapelo in faccia al giovane fisico che tenta disperatamente la fuga. Riparatosi dentro ad un portone vicino, viene raggiunto e finito dalla teppa repubblichina. Aveva 33 anni.

Nato a Trieste l'11 dicembre 1912 da un'agiata famiglia ebrea, aveva dedicato allo studio l'adolescenza, conseguendo con un anno d'anticipo la licenza liceale. Di ingegno vivacissimo, aveva frequentato, per volere del padre, il primo biennio di Ingegneria a Firenze. Si era poi iscritto al Politecnico di Milano, ma lo aveva lasciato per tornare a Firenze a seguire i corsi di Fisica. Completò questi studi a Padova, laureandosi (110/110 e lode), a soli 21 anni, con una tesi sulle disintegrazioni nucleari. Assistente del professor Laura, si diede negli anni tra il 1933 e il 1934 anche agli studi filosofici ed approdò, non senza un processo critico, al marxismo. Di qui, nel 1936, la prima presa di contatto di Curiel con il Centro estero del Partito comunista, a Parigi. Nel 1937 il giovane intellettuale assume la responsabilità della pagina sindacale del “Bò”, il giornale universitario di Padova. Ma quell'impegno nella “attività legale” dura poco. Nel 1938 Curiel, a seguito delle leggi razziali, è sollevato dall'insegnamento e si trasferisce a Milano. Qui prende contatti con il Centro interno socialista e con vari gruppi antifascisti, ma il 23 giugno del 1939 viene arrestato da agenti dell'Ovra. Qualche mese nel carcere di San Vittore, il processo e la condanna a cinque anni di confino a Ventotene. Nell'isola, dove arrivano operai, antifascisti, garibaldini di Spagna – attraverso una sorta di “università proletaria” nella quale anche Curiel insegna, come dimostrano gli appunti ritrovati delle sue lezioni – si formano i quadri che organizzeranno la Resistenza. Il 21 agosto del 1943 anche Curiel, per sofferta decisione del governo Badoglio, lascia Ventotene. Torna in Veneto, ritrova vecchi amici e collaboratori, indica loro la via della lotta armata e infine ritorna a Milano. Qui dirige, di fatto, l'Unità clandestina e la rivista comunista La nostra lotta, tiene i contatti con gli intellettuali antifascisti, promuove tra i giovani resistenti la costituzione di un'organizzazione unitaria, il “Fronte della gioventù per l'indipendenza nazionale e per la libertà”.

«Docente universitario, sicura promessa della scienza italiana fu vecchio combattente, seppur giovane d'età, nella lotta per la libertà del popolo. Chiamò a raccolta, per primo, tutti i giovani d'Italia contro il nemico nazifascista. Attratta dalla sua fede, dal suo entusiasmo e dal suo esempio, la parte migliore della gioventù italiana rispose all'appello ed egli seppe guidarla nell'eroica lotta ed organizzarla in quel potente strumento di liberazione che fu il Fronte della gioventù. Animatore impareggiabile è sempre laddove c'è da organizzare, da combattere, da incoraggiare. Spiato, braccato dall'insidioso nemico che vedeva in lui il più pericoloso avversario, mai desisteva dalla lotta. Alla vigilia della conclusione vittoriosa degli immensi sforzi del popolo italiano cadeva in un proditorio agguato tesogli dai sicari nazifascisti. Capo ideale e glorioso esempio a tutta la gioventù italiana di eroismo, di amore per la Patria e per la Libertà.»

(Motivazione della concessione della Medaglia d'Oro al Valor Militare alla Memoria)

https://www.anpi.it/biografia/eugenio-curiel


Solidarietà ai firmatari dell'appello contro la pulizia etnica in Palestina

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Il comitato provinciale dell'ANPI di Roma esprime la più totale solidarietà a Gad Lerner e a tutti i firmatari e le firmatarie, ebrei ed ebree italiani, di un appello contro la pulizia etnica in Palestina uscito ieri su La Repubblica e su Il Manifesto. Per questo appello sono oggetto di minacce e dileggio da parte di personaggi inqualificabili, probabilmente vicini alla destra israeliana oggi al governo e simpatizzanti dell'attuale presidente degli Stati Uniti che vorrebbe l'espulsione da Gaza di tutti i palestinesi superstiti della carneficina ancora in atto, per farne un resort per milionari imbelli.




28 febbraio 1978: l'assassinio di Roberto Scialabba

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La sera del 28 febbraio 1978, verso le undici, un commando composto da otto terroristi dei NAR - Valerio e Cristiano Fioravanti, Alessandro Alibrandi, Franco Anselmi e altri quattro - fa la sua comparsa in Piazza Don Bosco, nel quartiere popolare di Cinecittà: è in cerca di militanti della sinistra e dell'autonomia da assassinare per vendicare i morti di Acca Larentia. Dopo essersi invano diretti a Via Calpurnio Fiamma, dove si trovava uno stabile occupato dal quale si credeva provenissero i responsabili del fatto, i neofascisti vedono Roberto assieme al fratello Nicola e ad un altro amico conversare su una panchina, nei giardinetti della piazza. Il loro abbigliamento e il luogo frequentato non lasciano dubbi: sono dei "rossi" e in quanto tali vanno puniti.
    I fratelli Fioravanti scendono dalle loro macchine assieme ad Anselmi, raggiungono i tre e aprono il fuoco: Roberto è colpito da un proiettile che non lo uccide, ma è raggiunto da Valerio Fioravanti che lo finisce sparandogli alla nuca. 
    Poche ore dopo, con una telefonata alla sede de "Il Messaggero", l'omicidio è rivendicato dai NAR, che si identificano con la sigla "Gioventù Nazional Popolare"; ciononostante, le indagini si concentreranno su alcuni lievi precedenti penali di Roberto e il suo omicidio verrà descritto dalla stampa come l'esito di un regolamento di conti interno a piccole bande di spacciatori del quartiere. Solo la confessione resa da Cristiano Fioravanti nel 1982  assieme alla meticolosa ricostruzione della dinamica dell'omicidio porrà fine alla campagna di disinformazione condotta da certa stampa e restituirà giustizia a Roberto, vigliaccamente assassinato perché comunista e antifascista.

Verso il 25 aprile 2025 - O.d.G. approvato dal Comitato Provinciale dell'ANPI di Roma nella seduta del 25 febbraio 2025

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Ordine del Giorno del Comitato Provinciale dell’ANPI di Roma approvato nella seduta del 25 febbraio 2025 


VERSO IL 25 APRILE, 80° ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE D’ITALIA DAL NAZIFASCISMO 




    Il Comitato Provinciale dell’ANPI di Roma inizia il percorso di eventi e iniziative in vista del prossimo 25 aprile, 80° anniversario della Liberazione d’Italia dal nazifascismo. Ci apprestiamo a celebrare il giorno in cui si ricorda l’insurrezione vittoriosa delle formazioni partigiane nelle città del nord Italia, che restituì dignità alla nazione dopo 20 anni di dittatura fascista. Il 25 aprile rappresenta la libertà e l’indipendenza nazionale, la riscossa del popolo italiano contro l’oppressione e la tirannia, la conquista della democrazia, della Repubblica, della Costituzione. Forti della nostra storia, che parte dalle antifasciste e dagli antifascisti che hanno vissuto il carcere, il confino, la deportazione, l’esilio, la clandestinità e nel ricordo di Antonio Gramsci, Don Minzoni, Piero Gobetti, Giacomo Matteotti, Carlo e Nello Rosselli, e di quanti persero la vita sotto il fascismo. Nell’esempio delle partigiane e dei partigiani e di quei ragazzi delle forze Alleate che da lontano vennero a morire per la nostra libertà. Con il coraggio e la determinazione di quelle straordinarie donne, prime fra tutte le gappiste romane, che in guerra diventarono l’incubo di nazisti e fascisti e che con le loro audaci azioni di guerriglia dimostrarono come la futura società antifascista avrebbe visto protagonista l’altra metà del cielo fino a quel momento relegata ai suoi margini. Il nostro pensiero nell’80° della Liberazione va anche a Ciro Principessa, Ivo Zini, Walter Rossi, Roberto Scialabba, Valerio Verbano, il giudice Mario Amato e Renato Biagetti, vittime della violenza neofascista.  
Con alle spalle e al nostro fianco questa gloriosa storia e la sua memoria, in vista del 25 aprile saremo nelle piazze e nelle strade di Roma e provincia con le nostre bandiere, in ogni momento in cui ci si impegni per la difesa e l’ampliamento dei diritti, per le libertà e per la giustizia sociale.  

    Il nostro Paese vive un momento storico difficile e complesso, caratterizzato dalla presenza di forze politiche oggi al suo governo che nel loro retroterra culturale non hanno la storia e il cammino antifascista dei partiti che fondarono la Repubblica. La crescita delle disuguaglianze, l’emergere di nuove povertà, l’attacco ai poteri dello Stato e ai principi cardine della Costituzione nonché ai diritti sindacali tra cui quello di sciopero, la propaganda razzista, xenofoba e omofoba che si accompagna ad una persistenza e all’acuirsi della cultura patriarcale nei mezzi di comunicazione e in molti settori della società, l’impostazione repressiva delle politiche sulla sicurezza, i tentativi di revisionismo storico, la politica bellicista che continua a vedere l’invio di armi nei territori di guerra, l’attacco ai diritti del lavoro e la politica migratoria basata sull’ingiustizia e la discriminazione, sono la conferma che oggi più che mai occorre essere vigili e presenti, impegnati e costantemente mobilitati, per la difesa e l’applicazione della Costituzione nata dalla Resistenza e la lotta contro vecchi e nuovi fascismi, contro qualsivoglia involuzione conservatrice o autoritaria della società.  Questa situazione si innesta nel momento in cui nel Paese si registra una bassissima partecipazione democratica, di cui il grande astensionismo è il più evidente campanello d’allarme, che rappresenta un rischio per la stessa tenuta democratica della Repubblica. A tal proposito i prossimi referendum sui diritti sociali e civili, che vedono il nostro sostegno, saranno un importante banco di prova. 
 
    Saremo inoltre in ogni piazza e in ogni luogo dove le parole dell’articolo 11 della Costituzione siano la bussola per guidare l’azione politica e istituzionale. Quella del ripudio della guerra è una bussola fondamentale nel mondo di oggi, che vive una stagione tragica, dove i governi di alcuni Paesi prediligono una politica di potenza a scapito delle popolazioni e della loro autodeterminazione, calpestando i diritti fondamentali delle persone e delle nazioni, rendendosi colpevoli di crimini ed efferatezze e puntando a costruire un assetto geopolitico che nulla ha a che vedere con le libertà e la giustizia in quanto  basato sulla legge del più forte piuttosto che sul rispetto e la cooperazione tra gli Stati, in un contesto generale che vede il progressivo indebolimento degli organismi di garanzia e coordinamento internazionale. Ciò che abbiamo visto a Gaza e in Cisgiordania nei mesi scorsi è quanto di più esecrabile stia accadendo. Il massacro di una popolazione e la volontà di conquista e di appropriazione di quei territori da parte del governo israeliano riteniamo sia inaccettabile così come riteniamo inaccettabile l’uccisione di innocenti cittadini israeliani. Per questo siamo fortemente impegnati nella solidarietà al popolo palestinese e nella fondamentale battaglia per il riconoscimento dello Stato di Palestina, condizione imprescindibile e necessaria per la risoluzione del conflitto mediorientale e per l’affermazione della pace e della giustizia. Due popoli e due Stati, questa la nostra storica posizione, ognuno dei due in pace ed in sicurezza. In altre aree del globo, nei diversi continenti e soprattutto in paesi poveri, prima fra tutti l’Ucraina, continua la guerra. Le armi ancora hanno la meglio sulla diplomazia, migliaia e migliaia di persone continuano a morire. La guerra iniziata nel 2014 in Donbass contro le popolazioni locali che ha visto il mancato rispetto degli accordi di Minsk e successivamente espansa nel 2022 con l’invasione da parte della Federazione Russa del territorio ucraino è ancora in corso, e si svolge alle porte d’Europa. Quella stessa Europa che 80 anni fa vide sconfiggere il nazifascismo e che tentò di costruire solide fondamenta di pace e cooperazione per il futuro. Oggi invece assistiamo ad una politica, anche continentale, che alimenta il fragore delle armi, che non dialoga, che innalza muri invece che costruire ponti. Noi veniamo dalla Resistenza e dall’antifascismo così come veniamo da quel grande movimento dei Partigiani per la Pace che nei primi anni del dopoguerra si mobilitò per il disarmo e contro ogni risoluzione armata dei conflitti. Siamo convinti come lo erano allora i protagonisti della Guerra di Liberazione che solo una politica di Pace e disarmo possa dar vita ad un sistema di sicurezza basato sulla libertà, sull’amicizia tra le nazioni e sull’autodeterminazione dei popoli.  

    Con questo scenario nazionale ed internazionale ci prepariamo a celebrare l’80° della Liberazione, che costruiremo su tutto il territorio della provincia di Roma.  
Impegniamo le nostre strutture territoriali della città di Roma a lavorare da subito con i municipi di riferimento per la costruzione di un percorso condiviso e partecipato che abbia come obiettivo la partecipazione anche dell’Istituzione locale al tradizionale corteo romano della mattina e l’organizzazione di iniziative e celebrazioni nel territorio nel pomeriggio operando per il massimo coinvolgimento delle realtà antifasciste locali e della popolazione. Impegniamo le sezioni dei Comuni della provincia ad intraprendere da subito la mobilitazione per il massimo coinvolgimento della società civile, dei sindacati, delle Associazioni, dei partiti, dei movimenti e ad agire, ove possibile, in concerto con le Istituzioni comunali, al fine di avviare percorsi condivisi e partecipati in ogni territorio e di realizzare iniziative e celebrazioni del 25 aprile ben strutturate e di ampio respiro popolare. Auspichiamo che, come ogni anno, anche in altre zone della città di Roma si costruiscano mobilitazioni antifasciste, così da rendere partecipi le cittadine e i cittadini dal centro alla periferia. 
La città di Roma, Medaglia d’Oro al Valor Militare per la Guerra di Liberazione, vedrà ancora una volta una grande manifestazione unitaria e plurale che come ogni anno inizierà rendendo omaggio ai Martiri delle Fosse Ardeatine e poi di fronte al monumento ai valori futuribili della Resistenza di Largo B. Bompiani partirà in corteo per arrivare a Porta San Paolo, luogo simbolo dell’inizio della Guerra di Liberazione dove la popolazione, le organizzazioni antifasciste e le Forze Armate diedero inizio alla riscossa del popolo italiano e riscattarono l’onore della Patria infangato dai fascisti e calpestato dai nazisti. 
 
    Riteniamo infine importante che tutte le antifasciste e tutti gli antifascisti, che tutte le organizzazioni democratiche e che si riconoscono nei valori della Resistenza e della Costituzione siano con noi e con le nostre Associazioni sorelle, insieme alle Istituzioni comunali e municipali, a ricordare i Caduti partigiani e, nel loro nome e col loro esempio, ribadire l’impegno nelle lotte e nelle battaglie di oggi. 

    Compagne e compagni, amiche ed amici, il 25 aprile Festa della Liberazione ci vedrà ancora tutte unite e tutti uniti, guidati dai medaglieri partigiani, dai vessilli della Guerra di Liberazione, dalle bandiere della Resistenza, per la costruzione di un mondo migliore, basato sulla Pace, sulla Libertà, sulla Giustizia Sociale. 

Il 1 marzo 1944 viene catturato dalla banda Koch il comandante partigiano Pilo Albertelli, trucidato alle Ardeatine

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Il 1 marzo 1944 viene catturato dalla banda Koch il comandante partigiano Pilo Albertelli, trucidato alle Ardeatine. Megaglia d'oro al Valore Militare

Nato a Parma il 10 ottobre 1907, ucciso a Roma il 24 marzo 1944, Medaglia d'Oro al Valor militare alla memoria.

Professore di storia e filosofia. Nel 1928 fu arrestato con l'accusa di aver svolto attività antifascista tra gli studenti e condannato a cinque anni di confino. Albertelli fu tra i più convinti propugnatori della fondazione del Partito d'Azione e, dopo l'8 settembre del 1943, fu a Roma tra i più audaci organizzatori della Resistenza e delle formazioni "Giustizia e Libertà".
Membro del Comitato militare romano del CVL, il 1° marzo del 1944 cadde nelle mani della banda Koch. Condotto dai fascisti in via Tasso, dopo giorni di sevizie fu visto dai compagni di lotta con le costole spezzate, il corpo straziato, il volto reso irriconoscibile. Tre settimane dopo l'arresto fu massacrato alle Fosse Ardeatine con gli altri 334 Martiri.
Pilo Albertelli lasciò scritto: "Un uomo senza ideali non è un uomo ed è doveroso sacrificare, quand'è necessario, ogni cosa per questi ideali".
Tra le opere filosofiche di Albertelli: "Gli Eleati, testimonianze e frammenti", Bari, 1939; "Il problema morale nella filosofia di Platone", Roma, 1939.

https://www.anpi.it/biografia/pilo-albertelli


La motivazione della Medaglia:

Lasciati gli studi prediletti per guidare nella battaglia della libertà, anche con l'esempio, gli allievi, prodigandosi nella difesa di Roma, contro l’invasore tedesco, fu tra i primi organizzatori e animatori della lotta di resistenza. Al comando di tutte le forze armate cittadine insurrezionali del partito d'azione, sprezzante di ogni pericolo, arditissimo in eroiche imprese, fu luminoso esempio di coraggio e di abnegazione. Arrestato e torturato con selvaggio accanimento, oppose ai carnefici superbo disprezzo e superba volontà di sacrificio, tentando stoicamente, per due volte, di togliersi la vita, pur di non parlare. Con le costole infrante, il corpo maciullato, conservò intatta fino all'ultimo la sua serena superiorità d'animo. Cadde, barbaramente trucidato, alle Fosse Ardeatine. - Roma, 8 settembre 1943 - 24 marzo 1944.


Scrisse di lui il partigiano Primo De Lazzari:
(...) Vorrei dire al lettore, subito, che avverto difficoltà a dire adeguatamente dell’uomo Pilo Albertelli, della sua vicenda umana e politica, della sua statura morale come antifascista, dirigente della Resistenza a Roma, orridamente seviziato dalla banda speciale fascista delle SS italiane, di Pietro Koch nelle celle della pensione Oltremare, ucciso alle cave Ardeatine.
Due anni prima era tra i promotori del Partito d’Azione, segnando un momento fondamentale nella storia del nostro Paese. Con lui ci sono alcuni padri della nuova Italia: Ferruccio Parri, Lelio Basso, Emilio Lussu, Ugo La Malfa, Piero Calamandrei, Guido Calogero, Altiero Spinelli, Norberto Bobbio. Di quel Partito, Albertelli dirigerà l’organizzazione militare della Resistenza a Roma unitamente a Vincenzo Baldazzi e Riccardo Bauer. Ipotizzando e molto temendo un arresto – che avverrà il 1° marzo ’44 – aveva confidato ad un fidato compagno di clandestinità che in «questa lotta io ho solo l’arma del silenzio, ma la adopererò fino all’ultimo». Scempiato dalle ripetute torture non disse una parola agli aguzzini; allo stremo della sofferenza cercò due volte, invano, di suicidarsi. Forse, possiamo immaginare, ripensando a ciò che aveva scritto nel 1931, a 24 anni: «Non basta vivere, farsi una posizione, prendere moglie, fare dei figli, essere insomma quei pratici, buoni cittadini che sono tutti, ma occorre una ragione di vita e a questa sottomettere tutto». Così fece – è storia documentata, non un’opinione – il mite prof. Pilo Albertelli, come si evince anche dalla motivazione della Medaglia d’Oro al Valore Militare assegnatagli. Il mite, dolce insegnante di filosofia e storia, ammirato dagli allievi (tra i quali, a Formia, Pietro Ingrao) che in una quieta vacanza agreste, in quel di Bedonia, nel Parmense, non volle partecipare ad un pranzo familiare: in tavola era finito un agnello che aveva visto più volte sgambettare e crescere tra l’erba domestica. Ecco, uno dei più audaci antifascisti e capi della lotta partigiana era anche questo (...).
Primo de Lazzari


Vedi anche:





Il 1 marzo 1922 nasceva Beppe Fenoglio, il grande scrittore dell'epopea partigiana

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«Sulle lapidi, a me basterà il mio nome,

le due date che sole contano,

e la qualifica di scrittore e partigiano.»


Beppe Fenoglio nacque ad Alba il 1° marzo 1922;

Terminato il Liceo, Fenoglio si iscrive alla facoltà di Lettere di Torino; ma interrompe gli studi nel 1943, e frequenta il corso per ufficiali, prima a Ceva, poi a Roma.

L’8 settembre l’esercito si dissolve e Fenoglio rientra in famiglia. Sceglie la guerriglia partigiana sulle Langhe, come già avevano fatto i suoi professori di Liceo, Cocito e Chiodi.

Dapprima sale “a Murazzano presso quegli stessi parenti che solevano ospitarlo da ragazzo per le vacanze estive”, poi entra in una brigata d’ispirazione comunista, che opera tra Murazzano e Mombarcaro nell’alta Langa.

Questa formazione partigiana, dopo l’assalto ai depositi militari di Carrù (3 marzo 1944), subisce una pesante sconfitta dai nazifascisti.

Per sfuggire ai rastrellamenti, Fenoglio ritorna ad Alba presso i suoi genitori. A settembre riprende la strada delle colline con le formazioni autonome: “gli azzurri” badogliani, presso il presidio di Mango.

Il 10 ottobre 1944 è con le forze che liberano Alba, che viene difesa fino al 2 novembre (I ventitré giorni della città di Alba).

Trascorre il difficile e lungo inverno in un isolamento terribile, presso la Cascina della Langa.

Nell’ultimo periodo della sua azione partigiana (marzo – maggio 1945), è ufficiale di collegamento presso la missione inglese, che opera nel Monferrato, nel Vercellese ed in Lomellina. Dopo la Liberazione, ritorna alla vita civile; ma l’esperienza partigiana è fondamentale nella sua vita ed ispira molti dei suoi romanzi e racconti.

Nel dopoguerra, Fenoglio visse lavorando come impiegato in un'azienda locale e scrivendo libri e racconti, in gran parte ispirati alla Resistenza e alcuni dei quali usciti postumi. Tra le sue opere: "I ventitré giorni della città di Alba" (Torino 1952), "La malora" (Torino 1954), "Primavera di bellezza" (Milano 1959), "Un giorno di fuoco" (Milano 1963), "Il partigiano Johnny" (Torino 1968), "La paga del sabato" (Torino 1969)

La sua fortuna critica è tutta postuma

Le sue opere presentano due direttrici principali: il mondo rurale delle Langhe e il movimento di resistenza italiana, entrambi ampiamente ispirati dalle proprie esperienze personali; allo stesso modo, Fenoglio si espresse in due stili: la cronaca e l'epos.

Forse è con “Una questione privata” che Fenoglio raggiunge l’apice della sua prova letteraria. Per dirla con le parole di Calvino: “Il libro che la nostra generazione voleva fare, adesso c’è”. Un libro in cui “c’è la Resistenza proprio com’era, di dentro e di fuori, vera come mai era stata scritta, serbata per tanti anni limpidamente dalla memoria fedele, e con tutti i valori morali, tanto più forti quanto più impliciti, e la commozione, e la furia. Ed è un libro di paesaggi, ed è un libro di figure rapide e tutte vive, ed è un libro di parole precise e vere”.

Fenoglio è generalmente considerato il più grande narratore della Resistenza e fin dagli anni Settanta la sua opera ha sollevato dibattiti sia sul versante testuale e filologico, sia in rapporto alle fonti e alla fortuna critica. Quanto all'interpretazione complessiva della sua scrittura, si è oscillato tra una lettura neorealista – così sono stati spesso interpretati, ad esempio, i racconti de I ventitré giorni della città di Alba (1952) e La malora (1954) – e una in chiave di epica moderna, in particolare per le opere postume, Una questione privata (1963) e l’incompiuto Partigiano Johnny (1968).

https://www.italianisti.it/news/call-for-papers/cfp-beppe-fenoglio-torino


“Sono nato in Alba il 1° marzo 1922 - diceva l’autore di sé - e in Alba vivo da sempre, a parte le lunghe assenze impostemi dal servizio militare e dalla lotta partigiana. La mia attività base è quella di dirigente d’industria: più precisamente, curo l’esportazione di una nota casa vinicola piemontese. (...) Per quanto cerchi, non trovo alcun aneddoto di qualche sapore relativamente alla genesi ed alla pubblicazione dei miei libri. Potrà forse interessare questa piccola rivelazione: Primavera di bellezza venne concepito e steso in lingua inglese. Il testo quale lo conoscono i lettori italiani è quindi una mera traduzione. (...) Scrivo per un’infinità di ragioni. Per vocazione, anche per continuare un rapporto con un avvenimento e le convenzioni della vita hanno reso altrimenti impossibile, anche per giustificare i miei sedici anni di studi non coronati da laurea, anche per spirito agonistico, anche per restituirmi sensazioni passate; per un’infinità di ragioni, insomma. Non certo per divertimento. Ci faccio una fatica nera. La più facile delle mie pagine esce spensierata da una decina di penosi rifacimenti. Scrivo with a deep distrust and deeper faith”. Con una profonda sfiducia e una fede più profonda.

Per approfondire:

https://www.centrostudibeppefenoglio.it/it/index.php

https://www.anpi.it/beppe-fenoglio-sottrasse-la-resistenza-alla-leggenda-e-la-riconsegno-alla-vita-reale-e-alla-storia

https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/mio-padre-beppe-fenoglio/

https://www.anpi.it/bibliografia/il-partigiano-johnny

https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/fenoglio-e-il-folle-volo-di-milton-sospeso-sul-finale/

https://www.collettiva.it/copertine/culture/beppe-fenoglio-cento-anni-di-letteratura-e-resistenza-ht7evtv9

https://www.raicultura.it/ricerca.html?q=beppe+fenoglio



3 marzo 1944: Teresa Tallotta Gullace è assassinata per mano dei nazisti

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Nata a Cittanova, in provincia di Reggio Calabria, nel 1910, Teresa emigra in giovanissima età a Roma: lì conosce Girolamo Gullace, che sposerà poco dopo e da cui avrà cinque figli. La famiglia Gullace abita in Via del Vicario, non lontano da Porta Cavalleggeri; Girolamo lavora come operaio in un cantiere, ma con le ristrettezze imposte dalla guerra prima e dall'occupazione poi garantire alla moglie e ai figli il minimo indispensabile per sopravvivere si fa sempre più difficile.
    Il 26 febbraio 1944 Girolamo è catturato durante un rastrellamento e condotto assieme a centinaia di altri uomini nella caserma dell'81° Reggimento Fanteria in Viale Giulio Cesare: da lì usciranno per essere avviati al lavoro coatto al fronte, con l'organizzazione Todt, o in Germania. 
Fuori dalla caserma si raduna sin da subito un gran numero di donne, in prevalenza mogli, figlie e parenti dei deportati, ma non mancano componenti dei Gruppi di Difesa della Donna e appartenenti alle fila della Resistenza a solidarizzare con le manifestanti e a sostenere la loro protesta. La mattina del 3 marzo 1944 tra di loro c'è anche Teresa, assieme al figlio quattordicenne Umberto, mentre tra la folla si trovano le gappiste Carla Capponi, Marisa Musu e Lucia Ottobrini. 
    Le donne sono assiepate all'ingresso della caserma, mentre sotto il muro staziona un cordone di soldati delle SS e di militi fascisti. Tutto si svolge in pochi istanti: Teresa riesce a farsi largo tra i soldati che ogni volta respingono violentemente la folla e cerca di lanciare un piccolo fagotto, contenente forse indumenti o un po' di cibo, verso la grata alla quale ha visto sporgersi il viso del marito, ma il piccolo pacchetto rimbalza contro il muro. Mentre tenta di raccoglierlo, arriva alle sue spalle un giovane sottufficiale delle SS, che estrae la pistola e le spara a bruciapelo un colpo a distanza ravvicinata. Teresa muore sul colpo, sotto gli occhi del figlio e del marito. 
    Carla Capponi, che ha assistito a tutta la scena, cerca di intervenire, ma è fermata da uno dei militi che la portano all'interno della caserma: riesce fortunatamente a liberarsi della pistola che aveva in mano grazie alla prontezza di Marisa Musu, che le mette in tasca una falsa tessera del gruppo fascista "Onore e Combattimento". Viene così prontamente rilasciata. Le partigiane Laura Lombardo Radice, Adele Maria Jemolo e Marcella Lapiccirella adagiano il corpo di Teresa sul marciapiede, invitando le altre donne a deporre fiori: si dà vita così ad un'altra, più silenziosa protesta contro i soprusi dell'occupazione nazista, di cui Teresa era rimasta vittima. 
    Nel pomeriggio si mescolano alla folla sempre più numerosa una ventina di gappisti, comandati da Mario Fiorentini, Franco Calamandrei, Mario Carrani e Alfredo Orecchio, decisi a compiere un'azione per liberare i prigionieri. Dileguatesi le SS, sono rimasti a presidio della caserma alcuni militi della Guardia Nazionale Repubblicana. L'irruenza di un ufficiale, che respinge con violenza un'altra donna che aveva tentato di avvicinarsi alla finestra, provoca la reazione di Guglielmo Blasi, che lo uccide all'istante. I GAP ingaggiano quindi con i repubblichini un vero e proprio conflitto a fuoco, che si conclude con lo sganciamento dei partigiani e il ferimento di altri due militi: l'azione prevista è annullata. 
    Alla figura di Teresa Gullace si ispirò il regista Roberto Rossellini per la figura di Pina, magistralmente interpretata da Anna Magnani, nel film "Roma città aperta", uscito appena un anno dopo.

4 marzo 1944: L'azione dei GAP contro il commissario fascista Armando Stampacchia

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Il gappista Clemente Scifoni



4 marzo 1944: L'azione dei GAP contro il commissario Armando Stampacchia
    Nel quartiere di Torpignattara il commissario di polizia era Salvatore Maranto, che collaborava con la Resistenza e riuscì a proteggere gli abitanti e le formazioni partigiane. Ma fu trasferito nell’ottobre del 1943 e al suo posto fu nominato, dal questore Caruso, il fedelissimo fascista Armando Stampacchia con il compito di organizzare la repressione nel quartiere ritenuto a ragione covo di antifascisti: ci fu quindi un giro di vite, coprifuoco anticipato, rastrellamenti di ebrei e operai per i lavori forzati e arresti indiscriminati nelle case. Dai comandi della Resistenza arrivò quindi l'ordine di fermarlo.
    Falliti vari tentativi, il 4 marzo 1944 agisce una squadra composta da Clemente Scifoni, Valerio Fiorentini e Aldo Feriva. La squadra si recò in piazza Ragusa, dove il commissario abitava e mentre gli altri rimasero a copertura, Scifoni salì e riuscì a portare a termine l'azione uccidendolo sul pianerottolo di casa.
La rappresaglia fu durissima. Nei giorni seguenti furono arrestati Valerio Fiorentini, Paolo Angelici, Carlo Camisotti e Luciano Sbrolli; tradotti a via Tasso i primi tre furono poi uccisi alle Cave Ardeatine. Scifoni riuscì a sfuggire all'arresto e con una quindicina di compagni di Torpignattara e l’amico Giordano Sangalli, raggiunse la zona del Monte Tancia, dove si unirono alla formazione garibaldina 'Giuseppe Stalin'. Tornato a Roma, a causa di una delazione fu arrestato e tradotto a via Tasso, quindi trasferito a Regina Coeli fino alla liberazione della città.
    In seguito, a causa dell'azione contro il commissario Stampacchia subì un processo e il carcere per circa due anni, fino a che fu riconosciuto aver agito militarmente come partigiano.
    Raccontò poi Scifoni: “La cosa più bella mi è arrivata il 9 ottobre del 1946, la qualifica di partigiano e di patriota, rilasciata dalla Commissione laziale ai sensi del decreto legge 518. E le deposizioni rese alla stessa da Luigi e Nino, che dichiarano che facevamo parte dell'organizzazione militare, anzi ne eravamo l'avanguardia in quanto facevamo parte delle formazioni gappiste, di aver partecipato ad assalti a colonne motorizzate tedesche sulla via Tuscolana, allo spargimento di chiodi sulle strade provinciali e ad altri atti di sabotaggio. E insieme al compagno Aldo Ferri alla uccisione di un tedesco che terrorizzava la popolazione in piazza dei Mirti. Poi le dichiarazioni di Giorgio Amendola e Luigi Longo, il quale affermò, nella qualità di comandante generale delle Brigate Garibaldi e di vice comandante del Corpo Volontari della Libertà che le azioni da me eseguite (la soppressione di Armando Stampacchia) erano decise dal Centro Militare Cittadino di Roma del Partito Comunista Italiano. Sta tutto agli atti, su carta intestata dell'Assemblea Costituente".

5-8 marzo 1943: appena dopo Stalingrado, sono gli scioperi del marzo '43 a segnare l'inizio della fine del ventennio fascista

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«Gli scioperi del marzo 1943, insieme con la vittoria alleata, hanno ormai assunto nella comune considerazione storica, il ruolo di fattore determinante la crisi del 25 luglio. Essi rappresentano l’episodio più grandioso e significativo della tenace lotta che i partiti antifascisti hanno svolto contro la tirannide di Mussolini e la dimostrazione più eloquente del distacco che è sempre esistito fra il fascismo e le forze sane del nostro Paese" (Umberto Massola).


Gli scioperi del marzo 1943 
di Gabriele Polo (Il Manifesto, 5 marzo 2003)
Il 5 marzo 1943 la sirena della fabbrica, che suonava regolarmente ogni mattina alle dieci, rimase silenziosa: il segnale che doveva far partire il primo sciopero dopo diciotto anni di niente era stato disinnescato dalla direzione. Qualcuno aveva avvertito la Fiat. All'officina 19 di Mirafiori, Leo Lanfranco - manutentore specializzato, reduce dal confino e assunto nonostante il suo curriculum di comunista perché «sapeva dominare il ferro» - decise di muoversi lo stesso, lasciò la macchina, fece un gesto con le mani e tutta l'officina si fermò. Il piccolo corteo si mosse in direzione delle presse raccogliendo qua e là l'adesione di altri operai. Non era un blocco massiccio, ma era la prima volta. Da quel giorno le fabbriche di Torino cominciarono a fermarsi, con un crescendo che fece impazzire questura e partito fascista, fino al blocco totale del 12 marzo e all'estensione dello sciopero a Milano, all'Emilia, al Veneto. Un marzo di fuoco. Appena dopo Stalingrado, prima del 25 luglio, molto prima dell'8 settembre, sono gli scioperi del marzo `43 a segnare l'inizio della fine del ventennio fascista. Scioperi contro la guerra, contro la fame, contro il regime; quando la borghesia italiana è ancora muta, i partiti antifascisti solo l'ombra di quel che erano e ridotti alla dimensione di gruppetti clandestini, gli intellettuali combattuti tra fedeltà alla patria e disaffezione per l'uomo del destino; quando le fabbriche sono militarizzate e scioperare può costare il tribunale speciale, l'accusa di tradimento, la galera, e, poi, la deportazione, la prospettiva del lager. Il 5 marzo del `43 è la data del «risveglio operaio», il riannodarsi del filo rosso spezzato nel `22 e reciso - sembrava definitivamente - con la guerra di Spagna. Il vero inizio della Resistenza.

continua su:


Vedi anche:


La rivoluzione delle donne nella Siria del post Assad - 10 marzo 2025 alla Casa della Memoria e della Storia

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La rivoluzione delle donne nella Siria del post Assad - 10 marzo 2025 alla Casa della Memoria e della Storia

Con Giovanni Russo Spena, Alessia Manzi, Simonetta Crisci, un'attivista della Rete "Woman defend Rojava". Coordina Anna Balzarro

L'ANPI provinciale di Roma non parteciperà alla Manifestazione "per l'Europa" del 15 marzo p.v.

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L'ANPI PROVINCIALE DI ROMA NON PARTECIPERÀ ALLA MANIFESTAZIONE DEL 15 MARZO


La presidenza dell'ANPI provinciale di Roma guarda all'idea e al progetto politico di unità dell'Europa  raccogliendo da sempre l'eredità del Manifesto di Ventotene, ossia dell'unità continentale dei popoli  fondata sulla Pace, la Democrazia e il Lavoro, la solidarietà e l'antifascismo. Per queste ragioni e secondo questo lascito l'ANPI è radicalmente contraria al piano di riarmo dello spazio comune europeo presentato dai rappresentanti e dai vertici politici delle attuali istituzioni UE. Un piano che presuppone e disegna la conversione in una economia di guerra dei nostri assetti sociali e Costituzionali in un quadro di contestuale riduzione delle risorse e di tagli allo stato sociale che non potranno che acuire i termini generali della crisi che attraversa già ora in modo profondo le nostre società e le classi del lavoro. Un impoverimento programmato delle cittadine e dei cittadini a beneficio dell'industria delle armi e di un capitalismo predatorio che tende alla guerra come risoluzione delle proprie criticità e contraddizioni interne. Consideriamo gravi le responsabilità delle classi dirigenti europee in ordine alla totale assenza in questi anni di un minimo tentativo di azione diplomatica e di intervento politico rivolto alla composizione dei conflitti e al ripristino di una azione finalizzata alla cessazione della guerra in Ucraina combattuta su suolo europeo attraverso le armi della Nato. Considerata la debolezza e la assenza totale di questi riferimenti e termini politici all'interno della piattaforma con cui è stata convocata la manifestazione "per l'Europa" del 15 marzo p.v., l'ANPI di Roma (facendo riferimento ai contenuti del dibattito interno maturato nel proprio organismo dirigente, il Comitato Provinciale) ritiene coerente la scelta di non invitare le proprie iscritte e i propri iscritti e simpatizzanti a parteciparvi se non a titolo esclusivamente personale e senza bandiere e fazzoletti dell'Associazione.

"Si svuotino gli arsenali, si riempiano i granai".
Sandro Pertini, partigiano, Presidente della Repubblica, Medaglia d'Oro della Resistenza

L'Ufficio di Presidenza dell'ANPI provinciale di Roma






7 marzo 1944: vengono fucilati a Forte Bravetta 10 eroici partigiani. Il sacrificio di Giorgio Labò, artificiere dei GAP centrali

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Alle prime ore dell'alba del 7 marzo 1944 un plotone di militi della PAI (Polizia dell'Africa Italiana) fucila 10 partigiani, prelevati dalle carceri di Via Tasso, a seguito della morte di un tedesco avvenuta durante un attacco partigiano in Piazza dei Mirti, nel popolare quartiere di Centocelle. Caddero sotto il piombo fascista:

Antonio Bussi, gappista e militante del PCI clandestino;

Concetto Fioravanti, militante del Movimento Comunista d'Italia (Bandiera Rossa);

Vincenzo Gentile, gappista del GAP Centrale "Pisacane";

Giorgio Labò, artificiere dei GAP centrali;

Paul Leo Lauffer, ebreo, militante del Partito d'Azione a Montesacro;

Francesco Lipartiti, carabiniere appartenente al Fronte Militare Clandestino di Resistenza;

Mario Mechelli, militante del Movimento Comunista d'Italia;

Antonio Nardi, militante del Movimento Comunista d'Italia;

Augusto Pasini, militante del Partito d'Azione;

Guido Rattoppatore, appartenente al GAP comunista della IV zona.

Antonio Nardi, cui è oggi intitolata la sezione ANPI dei Vigili del Fuoco, svolgeva attività di propaganda antifascista in seno al Movimento Comunista d'Italia, ben radicato tra i Vigili del Fuoco di Roma al punto da disporre di una propria squadra presso la sede di Ostiense in Via Marmorata. Nel dicembre 1943, mentre si trovava in servizio presso la sede centrale di Via Genova, ove era molto noto e apprezzato per le sue doti di autista e meccanico, venne tratto in arresto e imprigionato; dopo un processo farsa, terminò la propria esistenza a Forte Bravetta.



Quando i militi della PAI aprirono la sponda del camion che trasportava a Forte Bravetta i dieci antifascisti destinati alla fucilazione, il penultimo condannato dovette essere scortato a braccia sino al luogo dell'esecuzione: era il venticinquenne Giorgio Labò, che nel carcere di Via Tasso era stato tenuto legato mani e piedi per diciotto giorni e sottoposto a inenarrabili torture affinché rivelasse nomi e indirizzi dei compagni di lotta.
Nato a Modena il 29 maggio 1919, figlio di Mario, architetto originario di Genova, e di Enrica Elisa Morpurgo, ebrea triestina, ad appena un anno di età si trasferisce con la famiglia a Genova, dove compie gli studi frequentando l'Istituto Colombo per poi iscriversi alla Facoltà di Ingegneria dell'Università di Genova: dopo appena un anno passerà alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano. Negli anni dell'adolescenza e della giovinezza, prima nel salotto di casa Labò a Genova e poi negli ambienti dell'avanguardia milanese, ha l'occasione di conoscere e frequentare personalità di primo piano della scena culturale e artistica italiana del periodo come l'architetto Gio Ponti, lo scultore Francesco Messina, i poeti Camillo Sbarbaro e Alfonso Gatto, lo scrittore Vasco Pratolini, il pittore Renato Guttuso.
Alla notizia dell' armistizio, Labò abbandonò la compagnia del genio minatori in cui era stato inquadrato a seguito della chiamata di leva e si unì alle prime bande che si andavano formando nell'alto Lazio, venendo infine reclutato dai GAP centrali del Partito Comunista di Roma che ne apprezzarono la dimestichezza con gli esplosivi acquisita durante i mesi del servizio militare: assieme al chimico Gianfranco Mattei, mise a punto con precisione sempre maggiore gli ordigni utilizzati dai gappisti nel corso delle azioni di guerriglia contro i nazifascisti. Arrestati entrambi a seguito dell'irruzione della Gestapo nei locali adibiti a santabarbara dei GAP centrali, in Via Giulia 23/A, il 7 febbraio 1944 Mattei si impiccò con la cintura dei pantaloni nella cella di Via Tasso ove era detenuto, per evitare di rivelare dettagli vitali sull'organizzazione resistenziale sotto tortura, mentre Labò fu fucilato a Forte Bravetta il 7 marzo successivo assieme ad altri nove appartenenti alla Resistenza romana.

8 marzo di lotta e sorellanza per un mondo opposto a quello che si sta delineando

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L'8 marzo quest'anno cade in una terribile fase di guerra, riarmo, lacerazioni, repentini e profondi cambiamenti nel mondo, contraddizioni che spaccano il fronte "progressista" il cui orizzonte dovrebbe essere la ricerca di pace, il disarmo, la difesa e il rilancio delle organizzazioni internazionali volte a scongiurare i conflitti e a ricercare il benessere materiale, sociale e culturale e la salute di tutte le popolazioni. Sappiamo invece che in questa fase, questi "beni" primari sono in discussione e le prime a farne le spese sono le donne e le loro conquiste raggiunte con le unghie e con il sangue. Esse sono messe in discussione da un paternalismo che si sente forte e senza più alcun limite, al governo delle superpotenze che possono ormai fare e disfare qualsiasi cosa, cambiare i nomi geografici, minacciare conquiste territoriali, licenziare in massa, aprire guerre commerciali, attaccare i diritti fondamentali dell'umanità, propugnare catastrofici riarmi (anche quando a farlo sono donne, come la presidente della commissione europea, esse sono omologate agli interessi di un megamachismo universale).
    In questa situazione stringiamo i denti come siamo abituate a fare, e nel solco delle partigiane e dei partigiani che non demorsero neanche nei momenti più bui, quando sembrava che la morsa nazifascista avrebbe stritolato qualsiasi parvenza di civiltà e di umanità, e seppero uscirne vittoriose e vittoriosi.
    Viva l'8 marzo, di lotta, di sorellanza, per un mondo opposto a quello che si sta delineando.

Il Coordinamento donne dell'ANPI provinciale di Roma

9 marzo 1944: nei pressi di Palestrina, in uno scontro a fuoco con i nazisti, muoiono tre partigiani sovietici che operavano con le bande partigiane locali

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    Nella zona di Roma operarono vari ex prigionieri di guerra sovietici evasi dai campi di prigionia ed unitisi ai partigiani.
    Il 9 marzo 1944 alcuni di questi partigiani sovietici, "dopo tanti trasferimenti e attacchi, sono accampati a Colle Ruzzano. All’alba del 9, alcuni contadini della zona di Castruccio salgono per avvertire che in una capanna ci sono alcuni moschetti che possono essere prelevati. Si decide di inviare in missione Wassilij Skorokjodov e Nicolaj Demiacenko. Alle 11 del mattino i due non erano ancora tornati. Si sentono improvvisamente crepitare raffiche di mitra. Subito sei o sette partigiani, tra cui: Boris, Pietro Iglikhin, Mikail Kasskiev, Anatolij Kurepin e Dante Bertini si accingono a raggiungere la località da dove provengono gli spari. Passando per una località detta Fontana Ona, una zona tra Gallicano e Poli, trovano Wassilij riverso a terra, trivellato di colpi, già morto. Di Nicolaj neppure una traccia. Cercano e lo trovano tra i cespugli, ferito gravemente a una gamba da una raffica di mitra. Un gruppo numeroso di tedeschi li aveva attaccati di sorpresa. Si affrettano per caricarsi Nicolaj sulle spalle, in ordine sparso risalgono verso la base di Colle Ruzzano, ma è già troppo tardi. Ecco sbucare da ogni parte i nazisti. Si accende una furiosa battaglia. Nicolaj è colpito di nuovo e muore. Anche Anatolij che chiude il gruppo è ucciso dai tedeschi. Il resto dei partigiani, dopo duro combattimento, riesce a sganciarsi. Molti sono i corpi dei tedeschi uccisi, ma oramai i tre partigiani sovietici morti si sono dovuti lasciare in mano al nemico. Per 3 giorni i nazisti rifiutano di dare la sepoltura a quei poveri corpi straziati. Poi finalmente, si riesce a strappare il consenso. Così presso Fontana Ona tre fosse vengono scavate e tre povere bare fatte di tavole messe insieme dagli stessi contadini vi vengono calate. Esse raccolgono i giovani corpi dei tre eroici soldati venuti a morire tra la nostra gente. Dopo la Liberazione le spoglie dei tre partigiani sovietici furono riesumate e tumulate nel cimitero di Palestrina dove loro sacrificio è ricordato da una lapide".

Oggi al cimitero di Palestrina abbiamo reso omaggio ai tre partigiani sovietici caduti in combattimento contro i tedeschi il 9 marzo 1944. Nicolaj, Anatolij, Vasilij, non vi dimenticheremo.
LA MEMORIA NON MUORE 🌹🇮🇹ANPI Palestrina






10 marzo 1944: la battaglia di Poggio Bustone: i partigiani della brigata Gramsci battono duramente i circa 200 fascisti della GNR intenti a compiere una retata nel paese

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Il 10 marzo 1944 circa 200 fascisti della GNR giungono a Poggio Bustone per effettuare una retata punitiva di partigiani e di renitenti alla leva della RSI. 24 uomini della “Brigata Gramsci”, avvisati dalla popolazione scendono dal loro rifugio ingaggiando per più di tre ore, nonostante la sproporzione di forze, una dura battaglia con le milizie fasciste. Anche la gente del luogo fa la sua parte, armata alla meglio di forconi e bastoni. Il bilancio dello scontro, 14 morti, tra cui lo stesso questore Pannaria, e 30 feriti è alla fine per i fascisti decisamente pesante.
Poggio Bustone diviene un simbolo formidabile: è il primo territorio del centro nord liberato. «Questa azione segna l’apice della capacità offensiva della Resistenza nel reatino".


All'alba del 10 marzo le sentinelle del battaglione “Calcagnetti” della brigata “Gramsci”, appostate al di sopra del paese sulla dorsale del monte Rosato, vedono giungere dalla frazione pianeggiante Borgo San Pietro circa duecento militi che, lasciati gli automezzi (si parla di cinque torpedoni, successivamente resi inservibili dalla squadra di Mario Filipponi “Fulmine”), salgono a piedi a cingere l'abitato chiudendone le vie di fuga. La precipitosa corsa ad avvisare i compagni più vicini, a Cepparo (Rivodutri), appena rientrati dopo il disarmo notturno del presidio GNR di Cantalice, coincide con la burrascosa sveglia che subiscono gli abitanti. Le case vengono percorse una ad una tirando fuori tutti i maschi in età di leva, bastonando le madri che provano a trattenerli, proseguendo poi con gli adulti e addirittura gli anziani. Il motivo della spedizione, condotta in prima persona dal questore di Rieti Antonio Pannaria, con l'ausilio del capitano Mario Tandurri della GNR e del vice commissario di PS Vincenzo Trotta, è duplice: stroncare la renitenza, pressoché totale nel Comune per le classi 1923-1924, e punire una popolazione rea del supporto ai partigiani; va tenuto conto anche della volontà di rappresaglia contro i continui disarmi di presidi e distaccamenti della GNR in questa parte del Reatino, in atto sin da fine febbraio (il presidio di Poggio Bustone è caduto il 4 marzo). Tutti vengono concentrati sulla piazzetta e il questore, lista alla mano, chiama cinquantotto di loro (non è dato sapere con certezza se si tratti solo dei renitenti, solo dei ricercati per motivi politici, o l'intero gruppo), obbligati a presentarsi entro dieci minuti pena la distruzione del paese. In questi frangenti si consuma l'uccisione di Supenio Mostarda, colpito mentre cerca di scappare, e della sorella (secondo alcune fonti cugina, secondo qualcuna addirittura fidanzata) Domenica, liberatasi dal blocco dei militi per correre a soccorrerlo. Inizia a questo punto la seconda fase, la vera e propria battaglia, con l'arrivo dei partigiani del “Calcagnetti” guidati da “Lupo” e Vero Zagaglioni “Francesco”, venticinque al massimo, che sconvolge i piani del questore e fa sbandare i suoi uomini, che colti letteralmente di sorpresa iniziano anche a scappare. I partigiani, divisi in tre gruppi, hanno a loro volta sbarrato le vie d'uscita e ai fascisti non resta che concentrare il combattimento fra le vie del paese. La gente si arma alla meglio, anche con forconi e bastoni, e dà un contributo di straordinaria importanza che induce, dopo qualche ora, i militi a sgombrare il campo. Ad esempio il partigiano Giuseppe Desideri si Poggio Bustone (26/01/1924 – 27/05/2006) si salva proprio perché sua madre colpisce mortalmente con un forcone il milite che sta per scaricargli addosso una raffica di mitra. Lo scontro è duro, a tratti brutale e vendicativo da parte di tutti i protagonisti, sebbene l'incongruenza fra le testimonianze e le reticenze di molti non consentano ricostruzioni esaustive. Ciò soprattutto in relazione all'eliminazione dell'ultima sacca di resistenza, rappresentata dall'abitazione dove sono asserragliati il questore, i due funzionari e altri tre militi. Il merito principale viene unanimemente attribuito al ternano Enzo Cerroni “Uragano” e ad Emo Battisti, giovane studente di Poggio, partigiano della “Gramsci” rientrato in paese il giorno precedente per visitare i genitori. È sulle modalità dell'uccisione dei cinque fascisti che mancano sufficienti certezze, inducendo taluni anche a sollevare valutazioni di ordine morale in merito alla condotta dei partigiani in questa occasione. In concomitanza con la cessazione del fuoco giungono anche i rinforzi, in un ritardo giustificabile con la distanza da coprire, circa cinquanta partigiani con in testa Armando Fossatelli “Gim” e Saturno Di Giuli “Miro”. Prevedendo correttamente il pronto arrivo dei tedeschi, tutti piegano rapidamente in direzione di Leonessa (dopo avere liberato alcuni dei ragazzi rastrellati la mattina e rinchiusi in un locale), facendo tuttavia in tempo a vedere arrivare verso le ore 16 una colonna della Wehrmacht, composta sia di mezzi blindati che bandiere della Croce Rossa, che non risulta avere compiuto ulteriori danni o ritorsioni contro la popolazione in quella giornata. Alla fine i fascisti contano in totale sedici vittime fra le loro fila.






10 marzo 1944: in Via Tomacelli i GAP sbaragliano la formazione fascista "Onore e Combattimento"

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Nei mesi di febbraio e marzo 1944, quando a Roma diviene ormai chiaro che l'avanzata delle truppe alleate si è arrestata alle falde di Montecassino e sulle spiagge di Anzio e la prospettiva della liberazione della capitale si fa sempre più lontana, le truppe tedesche riprendono con rinnovato vigore i rastrellamenti nei quartieri popolari con l'obiettivo di inviare manodopera in Germania per contribuire allo sforzo bellico nelle fabbriche del Reich. Roma, posta nelle immediate retrovie del fronte e rappresentando in tal senso tanto un nodo logistico di fondamentale importanza per i rifornimenti di uomini e mezzi quanto località di riposo per le truppe provenienti dalla prima linea, diviene una città militarizzata, ove i tedeschi e i fascisti tentano di imporre arbitrariamente il proprio ordine avocando a sé il monopolio della forza.           All'illegittimità dell'ordine nazifascista e del suo terrore, i GAP rispondono con la scelta, spesso sofferta e umanamente problematizzante, della guerriglia armata, che nel marzo 1944 si concretizza nel sostegno e nell'organizzazione da parte dei partigiani di manifestazioni dimostrative popolari e nell'attacco diretto contro sedi e rappresentanti del potere nazifascista.
    Il 10 marzo 1944, le camicie nere commemorano presso il teatro Adriano, in piazza Cavour, l'anniversario della morte di Giuseppe Mazzini: i gappisti, decisi a punire l'appropriazione da parte dei fascisti della figura di Mazzini, si preparano all'attacco. Terminata l'orazione conclusiva, i partecipanti sfilano in corteo sino al centro della capitale: in testa alla colonna marciano gli allievi ufficiali del costituendo battaglione "Onore e Combattimento", circa 200 elementi vestiti di uniformi nuove di zecca e armati fino ai denti, «macabri alberi della cuccagna», come li ebbe a definire nelle sue memorie Rosario Bentivegna. Ad attenderli in via Tomacelli vi è un commando dei GAP composto da Mario Fiorentini, Rosario Bentivegna, Franco Ferri e Francesco Curreli, appostati all'altezza del piccolo mercato che si apre tra via Tomacelli e via dell'Arancio: tra la folla sono mescolati Carlo Salinari e Marisa Musu. 
    All'arrivo del corteo fascista, uno dei quattro gappisti si avventa con la pistola spianata contro un milite della PAI posto a protezione del corteo, mettendolo in fuga: gli altri tre, seguendo Mario Fiorentini che dirige l'azione, scagliano contro i fascisti bombe di mortaio Brixia opportunamente modificate, dileguandosi poi fulmineamente nel dedalo di vicoli del rione. La spavalderia fascista, che un attimo prima si era manifestata nelle strofe "All'armi siam fascisti, terror dei comunisti!", si dissolve all'istante: il corteo ripiega alla spicciolata verso ponte Cavour, lasciando sul terreno nove caduti. Dopo l'attacco dei GAP, i tedeschi impediranno ai fascisti di tenere pubbliche dimostrazioni all'interno della città. L'azione di via Tomacelli rappresenterà il banco di prova per il successivo attacco di via Rasella, tra le più efficaci azioni di guerriglia urbana mai compiute dal movimento partigiano dell'intera Europa occupata.







Tra l'11 e il 13 marzo 1938 la Germania nazista invase e annesse l'Austria sotto gli occhi dell'Europa

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    Tra l’11 e il 13 marzo 1938, la Germania nazista annesse la confinante Austria. Questo evento è passato alla storia con il nome di “Anschluss” (annessione, unione).
Con l’annessione dell’Austria, i nazisti violarono i trattati di Versailles e di Saint-Germain del 1919 che proibivano espressamente l’unificazione di Austria e Germania, e fu il primo atto di espansione territoriale commesso dalla Germania nazista. Un primo tentativo di annessione dell'Austria c'era stato nel 1934 ma era fallito per l'opposizione dell'Italia fascista che temeva un forte stato tedesco ai diretti confini e le possibili mire ai territori ora italiani che erano stati sotto il dominio austriaco.
    Nel 1938 la situazione in Europa era profondamente mutata: La politica francese e quella inglese parevano orientarsi deliberatamente verso un appeasement con la Germania e l’Italia, dopo l'aggressione all'Etiopia e le sanzioni da parte della Società delle Nazioni per volere di Francia ed Inghilterra, guardava ad un avvicinamento alla Germania nazista. Questa situazione lasciò mano libera a Hitler. 
    Nelle settimane successive all’annessione i nazisti imprigionarono gli oppositori politici, che insieme agli ebrei austriaci furono in larga parte deportati nei campi di concentramento. Fu organizzato un referendum sull’annessione per il 10 aprile, e l’Anschluss fu approvata dal 99,7% dei votanti: le procedure furono ampiamente controllate dai nazisti, e ad ampie fette della popolazione fu impedito di votare. Né Regno Unito né Francia presero posizioni dure contro l’annessione. Si calcola che oltre 60mila ebrei austriaci morirono nella Shoah, e proprio sul suolo austriaco venne aperto il campo di concentramento di Mauthausen, dove si stima siano morte tra le 200 e le 300mila persone. Anche migliaia di rom e sinti austriaci furono discriminati e deportati. La Cecoslovacchia, ora circondata da tre fronti dalla Germania, fu annessa nei mesi successivi: prima con i Sudeti, i territori nel nord ovest abitati da molti tedeschi, e poi con il resto del paese nel 1939. Il primo settembre 1939, con l’invasione della Polonia, sarebbe cominciata ufficialmente la Seconda guerra mondiale.



Reparti d'assalto nazisti montano la guardia all'esterno di un negozio di proprietà di Ebrei, in Austria, poco dopo l'annessione del paese da parte della Germania. La scritta sui vetri recita: "Porco Ebreo, che le tue mani possano marcire e cadere!" Vienna, Austria, marzo 1938.







25 marzo 2025, sul canale Youtube dell'ANPI provinciale di Roma: incontro formativo sui referendum con Betty Leone

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25 marzo 2025, ore 17:30 in diretta (e in differita) sul canale Youtube dell'ANPI provinciale di Roma:
incontro formativo sui referendum con 
Betty Leone, vicepresidente nazionale ANPI e coordinatrice del gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali

Il 14 marzo 1883 moriva Karl Marx

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 Il 14 marzo 1883 moriva il  filosofo, economista, politologo, storico, giornalista e politico tedesco Karl Marx, il cui pensiero ha profondamente influenzato la storia del '900.
    Scriveva di lui Antonio Gramsci nel centenario della nascita: "(…) Marx è stato grande, la sua azione è stata feconda, non perché abbia inventato dal nulla, non perché abbia estratto dalla sua fantasia una visione originale della storia, ma, perché il frammentario, l’incompiuto l’immaturo è in lui diventato maturità, sistema, consapevolezza. La consapevolezza sua personale può diventare di tutti, è già diventata di molti: per questo fatto egli non è solo uno studioso, è un uomo d’azione; è grande e fecondo nell’azione come nel pensiero, i suoi libri hanno trasformato il mondo, cosí come hanno trasformato il pensiero (…)" - Antonio Gramsci il nostro Marx - Grido del Popolo - 4 maggio 1918

https://www.infoaut.org/storia-di-classe/4-maggio-1918-gramsci-il-nostro-marx





20 marzo 2025: Enrico Calamai - una vita per i diritti umani

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Giovedì 20 marzo, ore 17.00
Casa della Memoria e della Storia, Via San Francesco di Sales 5, Roma

ENRICO CALAMAI Una vita per i diritti umani
presentazione del documentario di Enrico Blatti

Saranno presenti:  
Enrico Calamai (ex Diplomatico)
Enrico Blatti (regista e Presidente ANPI III Municipio)

Per la presidenza di ANPI Provinciale Roma interverrà:
Marco Noccioli

28 marzo 2025: L’ANGELO DI BUENOS AIRES. Storia di Filippo Di Benedetto -

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Venerdì 28 marzo, ore 17.00
Casa della Memoria e della Storia, Via San Francesco di Sales 5, Roma

L’ANGELO DI BUENOS AIRES Storia di Filippo Di Benedetto
presentazione del documentario di Enrico Blatti

Saranno presenti:
Claudio Di Benedetto (figlio di Filippo Di Benedetto)
Renzo Russo (sindaco di Saracena)
Biagio Diana (vicesindaco di Saracena)
Enrico Calamai (ex Diplomatico)
Enrico Blatti (regista e Presidente ANPI III Municipio)

Per ANPI Provinciale Roma interverrà la Presidente:
Marina Pierlorenzi

17 marzo 1944: Maurizio Giglio è arrestato dalla polizia fascista

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Nato a Parigi nel 1920, il giovane Giglio trascorse gli anni della propria giovinezza a Roma, dove coronò gli studi con la laurea in Giurisprudenza, per poi entrare nella Scuola Ufficiali di Ancona. Arruolatosi volontario nel 1939, fu ferito in combattimento sulle montagne della Grecia. Dopo un breve periodo di servizio presso la Commissione d'armistizio a Torino, chiese e ottenne di essere nuovamente trasferito al servizio attivo, venendo così assegnato all'81° Reggimento fanteria di stanza nella capitale. Il 10 settembre 1943 combatté contro i tedeschi a Porta San Paolo assieme ai suoi soldati.

Abbandonata Roma pochi giorni dopo l'occupazione nazifascista, attraverso un rocambolesco viaggio che da Sulmona lo portò a Benevento, ove incontrò le avanguardie della V Armata statunitense, e infine a Napoli, Giglio si rese disponibile a collaborare con l'Office of Strategic Service (OSS) in veste di agente informativo; dopo essersi recato a Bari per mettere al corrente i vertici del governo italiano di quanto aveva avuto modo di osservare a Roma, fece ritorno a Napoli e da lì passò nuovamente la linea del fronte, stabilendosi infine a Roma.

Nella capitale, Giglio si arruolò nella Polizia Ausiliaria Repubblicana al fine di non destare sospetti e godere della massima libertà d'azione, specie durante le ore del coprifuoco. In poco tempo, il giovane tenente riuscì ad allestire un servizio d'informazione clandestino, noto come "Radio Vittoria", grazie al quale divenne in grado di procacciarsi e trasmettere quotidianamente ai comandi alleati notizie relative all'attività militare di tedeschi e fascisti nella città occupata, adoperandosi in oltre per individuare località della costa tirrenica in cui permettere lo sbarco di motosiluranti alleate he potessero trasportare nell'Italia liberata esponenti politici e militari del fronte antifascista. Strinse numerosi contatti con i responsabili del servizio d'informazione dell'organizzazione militare clandestina socialista, tra cui Giuliano Vassalli, e con Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, comandante del Fronte Militare Clandestino di Resistenza (FMCR). Nella propria attività si valse della preziosa collaborazione di altri agenti al servizio degli Alleati, tra i quali lo statunitense Peter Tompkins, giunto a Roma alla vigilia dello sbarco di Anzio, con il quale Giglio condivise per un certo periodo il proprio rifugio.

L'arresto di Ettore Bonocore, suo collaboratore, ad opera dei fascisti della banda Koch costrinse Giglio a mettere al sicuro la ricetrasmittente e altri documenti compromettenti, nascosti su un barcone galleggiante ormeggiato lungo il Tevere: li cadde in una trappola tesagli da Koch e dal questore Caruso. Arrestato e tradotto alla Pensione Oltremare in via Principe Amedeo, fu sottoposto a estenuanti torture perché rivelasse i nomi dei componenti dell'organizzazione clandestina, ma assunse su di sé l'intera responsabilità, salvando con il silenzio i propri compagni. Ridotto in fin di vita, fu trasportato a Regina Coeli il 23 marzo, venendo prelevato il giorno successivo per essere assassinato alle Fosse Ardeatine. 

A Maurizio Giglio è stata conferita la Medaglia d'Oro al Valor Militare.