19 luglio 1945 –
19 luglio 2013
IL BOMBARDAMENTO
DEL 1943 DEL QUARTIERE SAN LORENZO COLPISCE ANCHE L’ISTITUTO
SUPERIORE DI SANITÀ
Istituto
Superiore di Sanità
18 luglio 2013
Convegno svolto
nell’ambito della “tre giorni commemorativa” organizzata dalle
Sezioni ANPI: San Lorenzo, ISS “Ugo Forno”, Università Sapienza
“Walter Rossi”, Italia II Municipio
Considerazioni
sul bombardamento di Roma del 19 luglio 1943
V.
F. Polcaro
Presidente
del Comitato Provinciale ANPI di Roma
Il
primo bombardamento di Roma avvenne il 19 luglio del 1943, ad opera
di 662 bombardieri statunitensi B17 scortati da 268 caccia.
San
Lorenzo fu il quartiere più colpito da questo bombardamento, ma
furono danneggiate anche zone dei quartieri Tiburtino, Prenestino,
Casilino, Labicano, Tuscolano e Nomentano. Furono sganciate sulla
città 4.000 bombe, per un totale di 1.060 tonnellate di esplosivo,
che provocarono circa 3.000 morti ed 11.000 feriti, di cui 1.500
morti e 4.000 feriti nel solo quartiere di San Lorenzo (vedi ad es.
De Simone, 1993; Portelli, 2007).
Pochi
giorni dopo, nella notte tra il 24 ed il 25 luglio, il Gran Consiglio
fascista approvò l’”Ordine del Giorno Grandi”, che imponeva a
Mussolini il ripristino "di tutte le funzioni statali" e
invitava il duce a restituire il comando delle Forze armate al re. Il
giorno dopo, Mussolini venne deposto ed arrestato per ordine del re
ed il governo passò nella mani del Generale Badoglio. Il 14 agosto
1943, dopo il secondo bombardamento di Roma, il Governo Badoglio
dichiarò Roma “città aperta” e attraverso il canale diplomatico
di paesi neutrali, Svizzera e Portogallo, venne comunicata ai governi
di Londra e Washington la relativa nota ufficiale, contenente tale
dichiarazione. Il Comando Supremo italiano, in seguito a tale nota,
ordinò immediatamente alle batterie antiaeree della zona di Roma di
non reagire in nessun modo in caso di passaggio aereo nemico sulla
città; comandò poi lo spostamento di sede dei comandi italiani e
tedeschi e delle rispettive truppe; si impegnò a trasferire gli
stabilimenti militari e le fabbriche di armi e munizioni e a non
utilizzare il nodo ferroviario romano per scopi militari, né di
smistamento, né di carico o scarico, né di deposito.
Ma
lo stato di “Roma città aperta” fu immediatamente violato dai
nazisti, quando occuparono la città nel settembre 1943. Di
conseguenza, Roma venne bombardata dagli Alleati altre 50 volte,
l’ultima il 3 giugno 1944, il giorno prima della sua liberazione.
Roma
non fu la prima città colpita dai bombardamenti alleati: i
bombardamenti sulle città italiane iniziarono l’11 giugno 1940,
circa 24 ore dopo la dichiarazione di guerra alla Francia e alla Gran
Bretagna, e continuò su molte città italiane fino alla loro
liberazione. La gestazione del bombardamento di
Roma fu però lunga e travagliata. Gli alleati furono indotti a usare
prudenza e a ripetuti rinvii da un lato per la presenza del Vaticano
e per il valore culturale attribuito alla città dalle loro stesse
popolazioni, dall’altro anche per ragioni militari e di politica
interna, specie da parte statunitense, preoccupata per le possibili
reazioni dei propri cittadini cattolici.
Alla
fine però, queste esitazioni furono superate, non ostante i
tentativi della diplomazia vaticana di impedire che la guerra
coinvolgesse la città, con lo Stato del Vaticano a ridosso del suo
centro storico.
Due furono i motivi
che portarono gli alleati a questa decisione: in primo luogo, lo
sbarco in Sicilia del 10 luglio preludeva alla successiva avanzata ed
agli ulteriori sbarchi nell’Italia Meridionale e questo rendeva
militarmente indispensabile la distruzione del nodo ferroviario di
Roma, allora come ancora oggi un punto chiave della rete ferroviaria
italiana: metterlo, almeno temporaneamente, fuori uso avrebbe
impedito un rapido rinforzo tedesco alla propria scarsa presenza nel
Sud Italia, cosa indispensabile per il successo
delle operazioni alleate; d’altra parte per entrambi i contendenti
della Seconda Guerra Mondiale era data per scontata l'impossibilità
di garantire "santuari" (cioè luoghi non attaccabili per
qualsiasi motivo) nelle aree di combattimento (Mancini, 2011).
Ma
il secondo motivo era altrettanto importante: fino dall’inizio
della guerra, la RAF fece bombardamenti a tappeto (in inglese
“area bombing”) sul Nord Italia, per attaccare al tempo
stesso le zone industriali e quello che veniva definito “il morale”
delle popolazioni civili. Gli inglesi erano infatti convinti che
questi bombardamenti avrebbero avuto un effetto enorme sul morale di
una popolazione trascinata in guerra contro voglia dal proprio regime
ed erano per altro consci che la scarsa precisione dei sistemi di
puntamento dei loro bombardieri non consentiva in ogni caso di
evitare quelli che oggi si chiamano “danni collaterali”. Per
contrasto, gli americani, che possedevano sistemi di puntamento
migliori, sostenevano che i bombardamenti di “precisione” durante
il giorno (i britannici bombardavano di notte, per rendere meno
efficace l’azione della contraerea, data la minore quota di
tangenza dei propri bombardieri pesanti) fossero più efficaci
militarmente, oltre che più accettati dall’opinione pubblica del
proprio paese. L’offensiva aerea sull’Italia (come sulla
Francia), almeno ufficialmente e tranne alcune eccezioni non venne
quindi mai definita come area bombing, né furono effettuati
attacchi alle città italiane con bombe incendiarie (come quelli
devastanti su Amburgo, su Tokyo e soprattutto su Dresda).
Tuttavia, nella
realtà gli effetti dei bombardamenti americani non furono molto
diversi da quelli degli inglesi e il morale della popolazione civile
italiana fu oggetto di continua discussione tra i vertici politici e
militari alleati e spesso divenne obiettivo collaterale dei
bombardamenti (Baldoli, 2010). Che questo fosse uno dei motivi dei
bombardamenti è provato dal fatto che le bombe erano spesso
precedute o seguite da lanci di volantini: in questi gli Alleati si
proclamavano amici del popolo italiano, attribuivano la
responsabilità degli attacchi a Mussolini ed alla sua alleanza con
la Germania, confermavano cose già sospettate dagli italiani,
soprattutto dall’inverno del 1941-42 (le sconfitte militari, il
controllo dei tedeschi sulla politica fascista) e davano consigli su
come uscire prima dall’incubo delle bombe, protestando contro la
guerra e contro le autorità fasciste. Secondo Frasca (2004), anche
il bombardamento di San Lorenzo fu preannunciato dal lancio di
volantini su Roma, che invitavano i cittadini ad allontanarsi dagli
obiettivi militari, ma la notizia non è confermata da altre fonti.
Anche gli americani
si convinsero dell’utilità di questa strategia. L’OSS (Office of
Strategic Services), la struttura di intelligence statunitense,
affermò ad esempio che il bombardamento a tappeto su Torino del 12
luglio 1943 (che provocò 792 morti, più di qualsiasi altro attacco
su una città italiana fino ad allora) aveva “creato una situazione
critica che le autorità facevano fatica a controllare”; di
conseguenza, “un simile trattamento” venne raccomandato per
Milano. Un rapporto del 310° Gruppo Bombardieri americano,
riferendosi agli attacchi su Napoli del 17 luglio, forse l’azione
più distruttiva tra i bombardamenti del ’43, sosteneva lo stesso
principio, affermando, su dati di intelligence, che i
bombardamenti avevano provocato nella città italiana manifestazioni
per la pace e attività di sabotaggio (Baldoli, 2010).
Questi rapporti
furono determinanti nella decisione alleata di colpire Roma
che era la capitale del fascismo ed aveva un ruolo chiave
nell’immaginario collettivo del regime: colpire Roma significava
colpire il fascismo al cuore.
L’operazione fu
concepita come un “bombardamento di precisione” dello scalo
ferroviario di San Lorenzo e perciò affidata ai B17 statunitensi,
che, partiti dalla basi in Tunisia, entrarono su Roma seguendo il
corso del Tevere, fino a raggiungere l’obiettivo. Il bombardamento
condotto dalla prima ondata fu effettivamente abbastanza preciso e le
bombe caddero quasi esclusivamente sull’obiettivo, mentre altre
furono lanciate sugli aeroporti di Centocelle e Ciampino, per
ostacolare la reazione dei caccia italiani (solo 38 aerei!).
Tuttavia, il fumo degli incendi e delle esplosioni coprì rapidamente
l’area, rendendo inutilizzabili i sistemi di puntamento, sicché le
cinque ondate successive scaricarono le proprie bombe in modo molto
approssimativo, causando le vittime civili delle quali si è detto e
colpendo anche il Policlinico, la Città universitaria, l’Istituto
Superiore di Sanità, la Cattedrale di San Lorenzo, il Cimitero del
Verano e l’Acquedotto Claudio.
Molti commentatori,
soprattutto anglo-americani, hanno descritto il bombardamento di Roma
del 19 luglio 1943 e gli altri bombardamenti alleati sulle città
italiane come uno dei motivi della caduta di Mussolini. Secondo
questa interpretazione, la guerra psicologica, insieme alle bombe,
riuscì a convincere gli italiani ad allontanarsi da Mussolini, e
soprattutto a rifiutare la collaborazione con i tedeschi.
Sicuramente, questa
guerra psicologica ha in parte funzionato: ad esempio, in attesa
dell’arrivo dei “liberatori” appena sbarcati ad Anzio, la
giornalista Anna Garofalo (citata in Baldoli, 2010) scrisse a Roma
nel suo diario:
Un nemico che ha
dovuto farci molto male e a cui non sappiamo volerne per il male che
ci ha fatto. Sul nostro povero corpo inerme egli ha dovuto colpire il
cancro che ci divorava, tagliando la carne come fa il chirurgo col
bisturi
Bisogna però
chiedersi se la vittoria anglo-americana e l’interpretazione della
Seconda Guerra Mondiale come conflitto fra fascismo e democrazia
abbiano fatto dare per scontata l’idea che i bombardamenti, le cui
conseguenze sui civili sono state messe in ombra dalle stragi naziste
nel Paese, siano stati effettivamente parte integrante della guerra
di liberazione.
È infatti complesso
comprendere l’impatto della propaganda su coloro che subirono i
bombardamenti durante la guerra e fino a che punto bombe e propaganda
possano davvero annoverarsi tra le cause della caduta del regime e
dell’armistizio.
Questo non è solo
un problema storico, dato che l’esperimento dei bombardamenti
sull’Italia durante la Seconda Guerra Mondiale, accompagnato
dall’affermazione ideologica della loro efficacia, ha avuto un
seguito in guerre successive, fino a quelle recenti contro l’Iraq,
l’Afghanistan, l’ex Yugoslavia e la Libia. Resta però da
dimostrare se tale efficacia sia stata effettiva e, se sì, in quale
misura e con quali significati.
Non dimentichiamo
che in altre circostanze, quali ad esempio i bombardamenti a tappeto
italo-tedeschi durante la “Battaglia d’Inghilterra” del 1940 o
quelli americani sul Vietnam, la stessa strategia ha sortito sulla
popolazione colpita un effetto totalmente opposto a quello conclamato
nel caso italiano.
Personalmente, sono
quindi propenso a credere che, se effettivamente i bombardamenti
alleati hanno avuto un ruolo importante nell’accelerare la
disgregazione della struttura del partito nazionale fascista, le
decisioni del re e quindi la caduta di Mussolini, tuttavia su quel
grande moto di riscossa nazionale e democratica che è stata la
Resistenza, in tutte le sue forme, i bombardamenti possono essere
stati, al massimo, la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Bibliografia
C.
Baldoli, 2010, I bombardamenti sull’Italia nella Seconda guerra
mondiale. Strategia anglo-americana e propaganda rivolta alla
popolazione civile, DEP, n.13-14 / 2010 , pp. 34-49
http://www.unive.it/media/allegato/dep/n13-14-2010/Dep_13_14_2010_c.pdf
C.
De Simone, 1993, Venti
angeli sopra Roma. I bombardamenti aerei sulla città eterna (il 19
luglio e il 13 agosto 1943),
Milano, Mursia
S.
Frasca, 2004, Centocelle,http://grwavsf.roma1.infn.it/vb/frasca/Centocelle.pdf
(consultato il 17/7/2013)
U.
Mancini, 2011, La guerra nelle terre del
papa. I bombardamenti alleati tra Roma e Montecassino attraversando i
Castelli Romani, Milano,
FrancoAngeli
A.
Portelli, 2007, Il bombardamento di San Lorenzo, Bari,
Podcast Laterza