23 marzo 1944
Attacco partigiano a Via Rasella
Attacco partigiano a Via Rasella
«Fu in Via Rasella che portammo a termine la più importante azione di guerra che i partigiani abbiano condotto a Roma, senza dubbio una delle più importanti d’Europa».
Roma è occupata ormai dal settembre dell’anno scorso.
L’8 settembre l’euforia ha riempito ogni angolo della capitale, dal centro alle borgate. La gioia per la fine dell’infamia fascista ci ha permesso di prendere il coraggio a due mani e il fucile in pugno, pronti a tutto pur di impedire ai nazisti di occupare Roma.
Ma ancora una volta a tradirci i nemici di classe, i generali e quell'inetto del Re che, degno epilogo di una vita da vigliacco, decide di scappare con il suo codazzo di fedelissimi. Si sa che i ricchi cascano sempre in piedi. Mentre a noi, sfruttati dai governi liberali, spediti al fronte, uccisi, perseguitati, incarcerati da Mussolini, rimane ora l’onere di lottare contro l’invasore e il nemico fascista. Ma senza un comando, senza armi, già il 10 settembre Roma è piegata e costretta all'armistizio. È ingenuo attendersi dai tedeschi il rispetto di qualunque clausola; ma la guerra ci ha prostrati, annichiliti; qualcuno ingenuamente ha sperato che quei criminali tenessero fede alla parola data e che Roma restasse città libera. Ma da gente senza onore non ci si può aspettare tanto e così l’11 settembre sono iniziate le prime deportazioni e da allora i tedeschi sono ovunque in città.
Noi a Roma gli scarponi di Kappler, dei suoi commilitoni e di quelle merde repubblichine non li abbiamo mai sopportati. Ovunque troviamo solidarietà, spontanea o organizzata.
Si moltiplicano gli attacchi e i sabotaggi ai danni degli occupanti. Dai quartieri e dai dintorni tedeschi e fascisti raccolgono molto più odio e disprezzo che simpatie.
Le loro sono odiose violenze, persecuzioni, stragi, torture; migliaia le vittime nella nostra città.
Noi romani siamo orgogliosi di essere la loro spina nel fianco, qui non si arrende nessuno, abbiamo chiaro di fronte a noi l’obiettivo, liberare la nostra città.
L’8 settembre l’euforia ha riempito ogni angolo della capitale, dal centro alle borgate. La gioia per la fine dell’infamia fascista ci ha permesso di prendere il coraggio a due mani e il fucile in pugno, pronti a tutto pur di impedire ai nazisti di occupare Roma.
Ma ancora una volta a tradirci i nemici di classe, i generali e quell'inetto del Re che, degno epilogo di una vita da vigliacco, decide di scappare con il suo codazzo di fedelissimi. Si sa che i ricchi cascano sempre in piedi. Mentre a noi, sfruttati dai governi liberali, spediti al fronte, uccisi, perseguitati, incarcerati da Mussolini, rimane ora l’onere di lottare contro l’invasore e il nemico fascista. Ma senza un comando, senza armi, già il 10 settembre Roma è piegata e costretta all'armistizio. È ingenuo attendersi dai tedeschi il rispetto di qualunque clausola; ma la guerra ci ha prostrati, annichiliti; qualcuno ingenuamente ha sperato che quei criminali tenessero fede alla parola data e che Roma restasse città libera. Ma da gente senza onore non ci si può aspettare tanto e così l’11 settembre sono iniziate le prime deportazioni e da allora i tedeschi sono ovunque in città.
Noi a Roma gli scarponi di Kappler, dei suoi commilitoni e di quelle merde repubblichine non li abbiamo mai sopportati. Ovunque troviamo solidarietà, spontanea o organizzata.
Si moltiplicano gli attacchi e i sabotaggi ai danni degli occupanti. Dai quartieri e dai dintorni tedeschi e fascisti raccolgono molto più odio e disprezzo che simpatie.
Le loro sono odiose violenze, persecuzioni, stragi, torture; migliaia le vittime nella nostra città.
Noi romani siamo orgogliosi di essere la loro spina nel fianco, qui non si arrende nessuno, abbiamo chiaro di fronte a noi l’obiettivo, liberare la nostra città.
È a “Giovanni” che viene l’idea. Da tempo aveva osservato quel reparto con le divise della polizia nazista sfilare nelle “zone più belle della nostra città”. “Le loro canzoni, la loro voce, il loro passo cadenzato, l’orgoglio del nazismo, il loro incedere da occupatori sprezzanti, suscitavano in chiunque si trovasse a passare di lì un brivido di paura.”
Solo vederli ci spronava all'attacco.
Così, sentito il Comando militare del CLN, Paolo, Giovanni e gli altri passano alla realizzazione pratica. Si decide che l’attacco avverrà su via Rasella, all'altezza di palazzo Tittoni. Un simbolo che si aggiunge a un altro. Infatti Palazzo Tittoni era stato sede del primo governo Mussolini e il 23 marzo, data stabilita per l’azione, aveva visto, nel 1919, nascere i Fasci di Combattimento. Un avvertimento per entrambi dunque, fascisti e nazisti.
Un uomo vestito da spazzino “Paolo”, un carrettino della nettezza urbana pieno di 18 chili di tritolo, ferro e immondizia per coprire.
Una bella giornata di sole; il caldo primaverile si univa alla tensione, adrenalina e sudore, determinazione che riga la fronte di Paolo.
Alle due del pomeriggio è lì, con il suo carrettino. Gli altri compagni disposti a copertura nelle strade intorno. I nazisti sono attesi per le 2 e 15, come al solito.
“Ma i tedeschi non arrivavano”. Dopo un’ora, un falso allarme. L’attesa è snervante. Diversi contrattempi e incomprensioni e ancora due falsi allarmi. “Paolo” alle 3 e 45 è ancora lì, fermo, da più di un’ora e mezzo, sempre più preoccupato.
L’azione sembra sfumare, ma alle 3 e 50 arrivano i tedeschi. Cantando, prima l’avanguardia e poi il resto, con i mitra in braccio. Paolo aveva acceso la sua pipa, pronto ad innescare la miccia. L’avanguardia gli sfila davanti, a una ventina di metri la compagnia.”Le divise, le armi puntate, il passo cadenzato, perfino la carretta su cui era piazzata la mitragliatrice, le voci straniere, tutto era un oltraggio al cielo azzurro di Roma, agli intonachi, ai sampietrini [..]“. Il loro oltraggio troverà oggi una giusta risposta.
“Cola” si toglie il berretto, per Paolo è il segnale. Alza il coperchio, la miccia prende fuoco. Chiuso il coperchio dà il segnale agli altri compagni. L’azione è cominciata.
Paolo se ne va lentamente, dice a un uomo di allontanarsi, va verso “Elena” che lo aspetta.
Infila l’impermeabile, impugna la pistola.
Ecco i tedeschi, seguiti dal boato dell’esplosione. I nazisti sono a terra. Seguono le bombe a mano dei compagni. Rosario e Carla camminano con calma ormai, sono salvi.
A piazza Vittorio si riuniscono i gappisti dopo l’azione. Tutto è andato per il verso giusto, l’azione è riuscita!
(da «Achtung Banditen! Prima e dopo via Rasella», Rosario Sasà Bentivegna, 2004)