dall’introduzione di Piero Di Siena:
“(...) Ora rileggere le lezioni togliattiane sul fascismo nell’ottica della categoria dell’”analisi differenziata” può costituire una potente lezione di metodo rispetto ai problemi che oggi si presentano di fronte a una sinistra ridotta ai minimi termini, come del resto lo era quella travolta dai movimenti reazionari di massa tra le due guerre mondiali. Adesso come allora siamo di fronte a tendenze inedite che indicano un prevalere a livello di opinioni pubbliche di orientamenti reazionari, catalogati con una certa approssimazione come “populismi” o “sovranismi” in ascesa. Essi sono il frutto del fatto che, soprattutto a partire dalla crisi del 2007-2008, il processo di globalizzazione dell’economia è apparso nella sua vera natura, non tanto di unificazione dell’economia mondiale, ma di feroce competizione fra Stati a dimensione continentale per il primato nella nuova divisione internazionale del lavoro, dove a partire dalla Cina sono emersi nuovi soggetti che hanno segnato la fine irreversibile del primato dell’Occidente negli equilibri e negli assetti del mondo.
Siamo per paesi come l’Italia nel pieno di una crisi organica che, per le interdipendenze sempre più strette con il sistema mondo, non può avere una soluzione solo sul piano nazionale e che sottopone i diversi sistemi politici a passaggi traumatici e a esiti inediti. Per una sinistra, sia pure messa ai margini e ridotta al lumicino, come del resto lo erano i comunisti italiani nel pieno del regime fascista, il metodo dell’”analisi differenziata” capace di cogliere e di intervenire nelle contraddizioni dell’avversario nel suo rapporto con vasti strati del popolo è una lezione valida soprattutto per l’oggi.
Certamente un tale approccio analitico e le modalità dell’agire politico che ne derivavano non si trasformavano in Togliatti in una riduzione della politica rivoluzionaria a tattica senza prospettive, a scelte di manovra politica prive di un progetto, perché alle spalle vi era il ruolo dell’Urss e l’indicazione di marcia che la vittoria del socialismo, sia pure in un solo paese, indicava all’intero movimento. In genere si considera il “legame di ferro” che Togliatti ha permanentemente avuto con l’esperienza sovietica in tutte le sue fasi come una pura scelta dettata da una sorta di realismo politico, da una presa d’atto dei rapporti di forza da cui non si sarebbe potuto prescindere, del tutto estraneo al fatto che egli fosse con Mao, benché in tutt’altra direzione, il più grande innovatore del comunismo del Novecento. Ma, a mio parere, non è così. Quel legame stava a dimostrare l’attualità di un processo di transizione in atto verso un diverso assetto economico e sociale che costituiva la prospettiva irrinunciabile per l’agire politico di una forza di sinistra.
E’ l’assenza di punti di riferimento strategici e di una funzione di portata storica, di una visione alternativa dell’assetto del mondo, che espone ciò che resta della sinistra oggi al rischio dell’irrilevanza. Ma ciò può rendere anche più stringente la ricerca di quella nuova e inedita prospettiva rivoluzionaria (nel senso di un rovesciamento radicale del rapporto tra “governanti” e “governati”) che lo stato delle cose richiede.”
INDICE
Premessa di Paolo Ciofi
Introduzione di Piero Di Siena
Prefazione alla prima edizione di Ernesto Ragionieri
Lezioni sul fascismo
I caratteri fondamentali della dittatura fascista
Il «partito di tipo nuovo» della borghesia
Il Partito nazionale fascista
Le organizzazioni militari-propagandistiche del fascismo
I sindacati fascisti
Il dopolavoro
La politica del fascismo nella campagna
Il corporativismo
Appendice
Dov’è la forza del fascismo italiano?
Palmiro Togliatti (Genova, 26-3-1893-Yalta, 21-8-1964) è stato il principale dirigente del Partito Comunista Italiano, dall’arresto di Gramsci da parte del regime fascista sino alla morte avvenuta in Unione Sovietica.
Dopo la prima guerra mondiale partecipa con Gramsci, Tasca e Terracini alla fondazione dell’Ordine nuovo, la rivista torinese che sostiene l’occupazione delle fabbriche nel “biennio rosso” 1919-20. Tra i fondatori del Partito Comunista d’Italia, ne diventa il segretario nel 1927 e lo sarà per tutta la vita salvo una breve parentesi tra il 1934 e il 1938, quando nell’Internazionale comunista avvia la politica dei fronti popolari antifascisti.
Dopo aver partecipato alla guerra antifranchista di Spagna, torna in Italia nel 1944 e con la cosiddetta “svolta di Salerno” ridefinisce la strategia del Partito comunista, che presuppone la liberazione dal nazifascismo e la partecipazione al governo di unità nazionale. Nell’Assemblea Costituente fu uno dei protagonisti dell’elaborazione della Costituzione democratica della nuova Repubblica italiana.
Vice presidente del Consiglio e Ministro di Grazia e Giustizia nei governi di unità nazionale, escluso poi per effetto della rottura dell’unità delle potenze vincitrici della guerra, guida il suo partito in una dura opposizione ai governi centristi della Democrazia cristiana, condotta insieme al Psi sempre sul terreno democratico per l’attuazione dei principi costituzionali.
Nel 1948 subisce un grave attentato che lo mette in pericolo di vita. Il suo richiamo al rispetto della convivenza democratica evita che l’ampia reazione popolare sfoci in una vera e propria guerra civile.
Nel 1951 rifiuta la proposta di Stalin di assumere la guida del Cominform, l’organizzazione mondiale dei partiti comunisti che aveva sostituito l’Internazionale. Resta alla guida del Pci, che nell’VIII Congresso del 1956 porta a compimento l’elaborazione della via italiana al socialismo. Una scelta democratica che fa del Partito comunista italiano la forza più innovativa nel panorama del movimento comunista internazionale, al quale Togliatti darà ancora un fondamentale contributo con due interventi di grande rilievo: il discorso di Bergamo del 1961 sul destino dell’uomo, in cui getta le basi per un duraturo incontro tra comunisti e cattolici e il memoriale di Yalta sul rinnovamento del movimento comunista, scritto alla vigilia della morte.