L'eccidio raccontato in un volume scaricabile, a cura dell'ANFIM:
Eccidio-della-Storta-Anfim_2021.pdf
Dalla prefazione:
Nella notte tra il 3 e il 4 giugno 1944, l’esercito alleato si prepara a entrare in Roma da sud. I tedeschi cercano la fuga disperatamente e alcuni di essi, al comando dell’anziano ufficiale delle SS Hans Kahrau, caricano su due camion dei prigionieri politici incarcerati nella tristemente famosa prigione di Via Tasso. Si dice che vogliano portarli con sé in Germania o che debbano consegnarli a Mussolini.
Si tratta di prigionieri che possono essere un prezioso salvacondotto: nel caso in cui si fossero incontrati dei partigiani sulla strada, essi avrebbero potuto sempre essere scambiati con la libertà o almeno con la vita salva.
I prigionieri scelti, infatti, appartengono, secondo i tedeschi, al Fronte Militare Clandestino, oppure sono socialisti. In effetti, tra essi c’è il responsabile militare delle Brigate Matteotti, Giuseppe Gracceva, nome di battaglia “Maresciallo Rosso”, il quale viene fatto salire sul primo camion in partenza che, tuttavia, non va da nessuna parte (chi dice per un guasto e chi per un agguato dei GAP). Il caso salvò la vita a Gracceva e agli altri saliti su quel mezzo (tra questi Arrigo Paladini).
Sul secondo camion, vengono fatti salire altri quattordici prigionieri. Tra questi c’è Bruno Buozzi, operaio, dirigente sindacale, già deputato del PSI nella legislazione precedente alla dittatura fascista, personaggio ben noto e molto attivo tra Italia e Francia per l’affermazione del socialismo e del movimento sindacale.
E c’è anche Luigi Castellani, dipendente del Ministero dell’Interno, maestro di xilografia e di disegno. Era stato arrestato dalla Gestapo, la polizia di sicurezza tedesca, nel pomeriggio del 4 aprile 1944, tradotto al carcere di Regina Coeli, e successivamente trasferito in Via Tasso.
Il mezzo parte, incolonnato da Via Tasso, con gli altri veicoli tedeschi verso nord. È notte, ormai, e il convoglio viene fermato sulla Via Cassia, in zona detta La Storta. All’alba del 4 giugno, al chilometro 14 di Via Cassia, in aperta campagna, i quattordici prigionieri vengono allontanati dal resto del convoglio e portati in una rimessa della tenuta Grazioli. Nel pomeriggio dello stesso giorno, in una piccola valle accanto alla tenuta, vengono giustiziati con un colpo di pistola alla testa.
Non è ancora chiaro perché o chi emanò l’ordine (il nome più accreditato, dopo gli ultimi studi, è Erich Priebke, vicecomandante del quartier generale della Gestapo a Via Tasso e boia delle Fosse Ardeatine). Il “carico” del camion era troppo prezioso per lasciarlo così, in un campo, al chilometro 14,200 di una delle più famose vie di accesso alla capitale. Sarebbe stato più logico tenere con sé tutto quel gruppetto di uomini e assicurarsi via libera fino al confine, ma si è preferito, invece, “sbarazzarsi” di quel carico umano nel modo più sbrigativo possibile in un luogo anonimo. I corpi dei martiri vennero individuati dai contadini del luogo che diedero l’allarme.
Nonostante gli sforzi degli storici, il dibattito sulla ricostruzione dell’eccidio è ancora aperto. Anche se Kappler, comandante della Gestapo a Roma, durante il suo processo, parlò di un attacco di partigiani, si è ritenuto che il motivo di queste morti per condanna senza processo fosse dovuto a un guasto al loro camion (Alessandro Portelli): divenuti un peso, era meglio eliminare i prigionieri. Non è, tuttavia, una ipotesi probabile, dato il necessario lungo tragitto per giungere in zone sufficientemente sicure per i tedeschi. Si è anche sostenuto che l’ordine di uccidere i prigionieri fosse stato dato già in partenza dal comando (Priebke? Kappler?) e che la messinscena fosse solo un modo per giustificare la partenza e l’eliminazione
di nemici pericolosi senza che venissero reclamati subito da qualcuno. Altri autori hanno ipotizzato che l’ordine fosse stato impartito in seguito visto che qualche contadino della zona testimoniò di avere visto arrivare una motocicletta tedesca che poteva anche avere portato nuovi ordini (Gabriele Mammarella). È stata avanzata anche la tesi secondo la quale i prigionieri fossero stati eliminati per far posto al bottino di guerra (Paolo Monelli).
Caso, convenienza, messinscena, opportunismo, tutte le ragioni che sono poste alla base delle diverse ricostruzioni colpiscono nel profondo per il comune disprezzo delle regole (morali, civili e militari) e della vita umana e dimostrano, una volta ancor di più, la banalità del male.
Il procedimento a carico di Priebke è stato archiviato e nessuno è stato processato per la strage di La Storta. Ai parenti delle vittime è stato negato a lungo un degno monumento.
Attualmente rimangono il memoriale e il cippo di via Galli, in una piazzola nel verde non sempre ben curata, la presenza del Sindaco o comunque di un suo delegato alla cerimonia commemorativa. Probabilmente, molto di più andava e va fatto per dare il giusto tributo al sacrifico e alla memoria dei quattordici che sono caduti, in modo anonimo e senza motivo di morire, al chilometro 14,200 della Cassia.
È a questi quattordici uomini che è dedicato questo libro.
Francesco Albertelli - Presidente Anfim
Vedi Anche:
https://www.eccidiolastorta.it/