Nato a Ferentino, in provincia di Frosinone, nel 1913, Giuseppe Morosini frequentò da allievo esterno il seminario della propria città natale, maturando in quegli anni la scelta del sacerdozio: dopo gli studi, compiuti tra Roma e Piacenza, fu ordinato sacerdote il 27 marzo 1937 per mano di mons. Luigi Traglia nella basilica romana di San Giovanni in Laterano. In quegli stessi anni conosce Marcello Bucchi, con il quale condividerà in seguito l'impegno nella Resistenza.
Dopo un periodo trascorso in veste di cappellano militare in Jugoslavia nei primi mesi del 1942 rientrò in Italia, risiedendo per alcuni mesi ad Avazzano e trasferendosi infine a Roma nell'estate del 1943 per dedicarsi all'assistenza di orfani e senzatetto presso una struttura del quartiere Delle Vittorie.
All'indomani dell'8 settembre, il giovane sacerdote si prodigò nell'assistenza ai feriti dei combattimenti di Porta San Paolo, ricoverati nelle strutture del Collegio Leoniano, in via Pompeo Magno, nel quale risiedeva. Si occupò anche di occultare le armi recuperate in quei giorni convulsi, successivamente recapitate alla banda "Fulvi", una formazione militare comandata dal tenente Fulvio Mosconi affiliata al Fronte Militare Clandestino di Resistenza particolarmente attiva nella zona di Monte Mario. Ne faceva parte il suo vecchio amico Marcello Bucchi. Dopo essersi inizialmente limitato a fornire alla formazione assistenza spirituale, don Morosini passò a dedicarsi attivamente allo fabbricazione e alla diffusione di documenti falsi, alla raccolta di armi e munizioni e alla raccolta di informazioni. Nel corso delle proprie attività, durante le quali riuscì addirittura ad entrare in possesso di una copia del piano operativo dello schieramento tedesco sulla Linea Gustav, don Giuseppe si servì attivamente della propria rete di conoscenze e delle strutture del Collegio Leoniano, ove riuscì a salvare ebrei, antifascisti e altri ricercati dalla polizia tedesca.
Il 4 gennaio 1944, con la collaborazione di due doppiogiochisti legati alla formazione di Mosconi, le SS arrestarono don Morosini davanti al Collegio Leoniano, mentre assieme a Marcello Bucchi portava al sicuro armi e munizioni da poco recuperate. Rinchiuso a Regina Coeli, fu pesantemente torturato perché rivelasse informazioni sulla banda "Fulvi", ma non parlò. Cercò in ogni modo di mantenere alto il morale dei propri compagni di cella, componendo anche una ninna-nanna per il figlio nascituro di Epimenio Liberi, militante del Partito d'Azione assassinato alla Fosse Ardeatine poche settimane dopo.
Condannato a morte dal tribunale di guerra tedesco, il 3 aprile 1944, assistito dal vescovo Luigi Traglia che l'aveva ordinato sacerdote sette anni prima, celebrò la messa e fu trasferito a forte Bravetta per la fucilazione. All'ordine di far fuoco, dieci dei dodici militi della PAI che componevano il plotone di esecuzione spararono deliberatamente altrove: don Morosini, lievemente ferito, fu quindi ucciso a bruciapelo a colpi di pistola dell'ufficiale tedesco responsabile dell'esecuzione.
Alla figura di don Giuseppe Morosini, insignito di Medaglia d'Oro al Valor Militare alla memoria, si ispirò parzialmente Roberto Rossellini per la figura di don Pietro nel celebre film "Roma città aperta" del 1945.