Intervista al Presidente dell'ANPI di Roma e Provincia Fabrizio De Sanctis rilasciata a Oltremedianews.com
Il prossimo 4 dicembre in Italia si voterà per la riforma costituzionale voluta fortemente dal governo Renzi. Lo stesso presidente del Consiglio italiano, da un pò di tempo, ha dato il via ad una campagna elettorale asfissiante in cui non ha risparmiato nessun colpo basso verso coloro che, per un motivo o per l’altro, voteranno No.
La situazione politica in Italia non è delle migliori al momento ma, nonostante tutto, non passa giorno in cui qualche esponente del governo o della maggioranza non tiri fuori l’argomento del referendum. Ognuno di questi signori afferma che, se vincerà il no, l’Italia si ritroverà in una situazione catastrofica e pagherà, sotto numerosi punti di vista, questa scelta.
Anche alcuni importanti personaggi, dall’ambasciatore americano a Roma fino al comico Roberto Benigni, hanno dato il loro appoggio ai favorevoli alla riforma costituzionale. Anche questi interventi, purtroppo, non hanno fatto altro che spaccare di più il paese che, in questi ultimi mesi, si sta dividendo sempre più in due fazioni opposte.
Tra i vari contrari alla riforma ci sta l’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani Italiani) che, alcuni mesi fa, è stato attaccata duramente dal ministro per i rapporti col parlamento, Maria Elena Boschi. La Boschi infatti nel maggio scorso, durante una puntata della trasmissione “In mezz’ora“, ha affermato che i partigiani “veri” voteranno sì alla referendum e, così facendo, andranno contro alla linea presa dal direttivo nazionale dell’ANPI stessa.
Alcuni giorni fa abbiamo intervistato il presidente della sezione dell’ANPI di Roma, Fabrizio De Sanctis. A lui abbiamo chiesto di spiegarci come mai l’associazione dei partigiani si è schierata per il NO e quali sono i punti di tale riforma che più lo lasciano perplesso.
E’ impressionato dall’importanza che si sta dando a questo referendum? Come se lo spiega questo fatto?
«L’importanza che tutti gli danno è relativa anche allo scontro politico e al fatto che parliamo della carta fondamentale, su alcuni punti molto importanti. Mi pare abbastanza normale che a questa discussione si dia la massima attenzione, anzi. Se è vero il fatto che ci sono ancora molto indecisi, vuol dire che è ancora poco discussa, al momento, la questione».
Cosa ne pensa che alcune personalità di un certo rilievo, ad esempio l’ambasciatore degli Stati Uniti in Italia o l’attore Roberto Beningni, si siano schierate a favore del sì? Questo fatto potrebbe, in qualche modo, influenzare l’esito finale della votazione?
«Credo che tutto faccia parte del dibattito pre-voto. Può avere conseguenze ma, queste, sono due cose diverse. Una è l’ingerenza dell’ambasciatore di un paese straniero che non avrebbe dovuto permettersi di entrare in questa discussione ma si doveva limitare a osservarla da fuori e basta. L’altra è la decisione di una persona che, come le altre, decide di esprimere la propria scelta. Tale scelta è sorprendente ma tant’é. Ognuno fa i conti con la sua coscienza e non credo che Benigni, qualunque cosa dica, riesca ad influenzare troppo l’esito finale».
Il premier Matteo Renzi ha deciso di giocarsi una bella fetta della sua credibilità su questa riforma. Ve lo aspettavate una decisione del genere?
«All’inizio lo stesso Renzi aveva personalizzato molto questo appuntamento; adesso, invece, lui stesso dice di non personalizzare, anche se è continuamente presente su tutti i media per sostenere il SI e nonostante rivesta la carica di presidente del consiglio. Il punto di vista dell’ANPI, però, prescinde da Renzi. E’ fondamentale che non si compia una tale riforma. Tutto il resto è nettamente in secondo piano rispetto allo stravolgimento delle istituzioni costituzionali nate nel 1948».
Molti dei favorevoli al Sì affermano che, in caso di vittoria del No, vi sarà un arretramento generale del paese. Come rispondete a ciò?
«Non è credibile visto che, se vincesse il No, rimarrebbe la Costituzione tuttora in vigore. Per questo non si capisce qual’é la direzione contraria che prenderebbe il paese. Se, invece, vincesse il Sì ci sarebbe un colpo molte forte al paese e alle sue istituzioni. Questo sarebbe talmente duro e profondo che ha fatto lanciare all’Associazione un allarme per la libertà e la democrazia parlamentare del nostro paese visto che è in gioco questo».
Quali sono i punti che criticate di più di questa riforma? Quelli che comporterebbero maggiori danni e che andrebbero fermati grazie ad una vittoria del No?
«Questa è una riforma che, come quella precedente del 2006 proposta da Berlusconi, si pone di modificare la Costituzione per assoggettare il Parlamento all’esecutivo, è un tratto comune. In questa riforma, poi, il cambiamento del Senato, per la quale ci si chiede di aderire alla privazione del voto dei cittadini come nel 2006; il generico raccordo che si offre all’Unione Europea; il suo essere formato da persone, che essendo consiglieri regionali o sindaci, saranno a mezzo servizio ci fa capire molte più cose. Si tratterà, infatti, di un organismo impoverito, non eletto direttamente dai cittadini: fatto che riteniamo molto grave. Nonostante ciò, il Senato, continuerà ad essere un organismo legislativo perché non solo non sparisce, ma non spariscono neanche le sue funzioni che verranno semplicemente enormemente complicate. Questo organismo servirà da raccordo, per usare le parole della Riforma, con l’Unione Europea. E’ una cosa molto preoccupante pensare che possano esserci, in sostanza, altre delegazioni della sovranità italiana in favore non della pace e della giustizia delle nazioni, come prescrive l’art. 11 della Costituzione, ma di organismi sempre più opachi visto che non vengono sottoposti al consenso popolare. Tali organismi, anche quelli economici, incidono sempre di più sulla vita delle persone ma, contemporaneamente, sono svincolati da ogni verifica del consenso popolare alla linea che perseguono. Inoltre, il fatto che il Senato non verrebbe votato dai cittadini è un altro fattore molto grave perché, in un momento di gravissima crisi economica nel mondo intero, in un periodo in cui cala vistosamente la partecipazione alla vita pubblica e cresce la passivizzazione generale dei cittadini, in un momento in cui organismi sovranazionali di natura economica decidono gran parte degli orientamenti delle nazioni senza che queste ultime possano sottoporle al loro giudizio e voto, eliminare il diritto di voto vuol dire ricacciare dalla partecipazione il popolo italiano rispetto a questo momento storico fondamentale e nonostante l’art. 1 della Costituzione secondo cui la sovranità appartiene al popolo. In questi giorni, ad esempio, si sta votando per le aree metropolitane: ma chi conosce il dibattito, chi conosce i candidati o i programmi? Ci sono solo alcune descrizioni giornalistiche che dicono qualcosa al riguardo; tutto questo, però, è relativo ad un processo elettorale di secondo grado dove non si coinvolge affatto l’opinione pubblica se non in maniera molto tangenziale e rappresenta un fatto molto grave. Inoltre, tutta una serie di provvedimenti di questa riforma vanno contro la partecipazione popolare e verso un’idea di istituzioni elitarie, in mano a un sempre minor numero di persone che controllano, così, tutta la vita politica ed economica del paese. A differenza del passato non vi è solo un rafforzamento delle istituzioni nei confronti del Parlamento ma vi è stato anche un rafforzamento dell’Unione Europea nei confronti dei singoli stati membri. Ci troveremo un parlamento telecomandato da un governo che, a sua volta, riceve delle indicazioni dall’alto e cioè da quelle sfere economiche e politiche dell’UE che sono fuori dalla verifica del consenso popolare. Il Senato, poi, non potrebbe più essere sciolto dal Presidente della Repubblica né da nessun altro, indipendentemente da cosa produce o non produce, dalla congiuntura politica e addirittura rispetto ad una sua deviazione od eversione dei principi costituzionali.
Molte altre delle norme contenute in questa riforma sono contro la partecipazione democratica: ad esempio, per quel che riguarda le leggi di iniziativa popolare, si triplica il numero di firme necessarie per la loro presentazione. Si passa da 50 mila a 150 mila firme necessarie, da raccogliere, per presentare in parlamento una legge di iniziativa popolare. Qual’é il problema di queste leggi? Forse che i vari governi sarebbero stati guidati da leggi di iniziativa popolare in questi anni? Dov’è il pericolo se non nella impermeabilità delle istituzioni all’iniziativa democratica.
Vi è un altro fatto che, da questo punto di vista, è parecchio preoccupante: vale a dire l’introduzione del cosiddetto referendum propositivo, e cioè una sorta di plebiscito nel quale i cittadini sono chiamati a rispondere direttamente al governo. Il referendum propositivo, a differenza di quello tuttora in vigore che è abrogativo e che riguarda una legge che viene prima discussa e votata dal Parlamento, serve al governo per ricavarne un vero e proprio plebiscito da parte del popolo senza, prima, essere passato dal voto parlamentare. In generale il plebiscito è sempre stato uno strumento antidemocratico. E’ bene sapere che il plebiscito in Italia fu usato solo dal fascismo. Il plebiscito al momento è impedito dalla Costituzione ma sarà possibile se passa questa riforma costituzionale ed è un altro modo per trascinare il popolo verso iniziative che possono essere demagogiche e populiste. Non si discute affatto la natura di chi guiderà lo stato in un eventuale stagione post-riformata. Il problema principale, infatti, è che lo stato possa essere guidato in modo autoritario: per questo, l’ANPI non può che essere, visto il suo statuto e la sua tradizione, schierata contro tale riforma.
Non può tacersi infine che questa riforma costituzionale, di per se pessima e pericolosa, sia accompagnata dall’entrata in vigore dell’Italicum lo scorso luglio, ovvero della nuova legge elettorale ipermaggioritaria che consentirebbe ad una minoranza anche non significativa – la meno piccola – di prendere direttamente in mano e controllare per mezzo del suo leader l’esecutivo e la Camera dei deputati, divenendo decisiva per l’elezione del capo dello Stato, dei membri della Corte Costituzionale e del Csm, con conseguenti gravi rischi per la stessa divisione dei poteri. Altro che passo indietro se vince il No. Il No è fondamentale anche per costringere la politica a modificare questa legge elettorale. Le promesse di riforma di questi giorni sono irrealizzabili e tardive, come si può oggi proporre ad es. l’elezione dei senatori se non è prevista dalla riforma costituzionale e a cosa servirebbe dare il premio di maggioranza alla coalizione invece che al partito vincente se sempre di una esigua minoranza può trattarsi”.
I favorevoli al Sì del Partito Democratico sostengono che coloro che saranno contrari voteranno allo stesso modo di politici italiani come Salvini e Grillo. Voi come vi tentate di difendere da questa accusa?
“ A parte le differenze tra Salvini e Grillo é stato detto anche di peggio, per esempio che votiamo come Casapound. Sono delle semplici provocazioni, cosa dovremmo rispondere? Nella campagna referendaria c’è da scegliere tra sì e no, mica fare programmi, e sono cose assai diverse. Poi, il fatto che ci siano personaggi di estrema destra che votino No per far cadere Renzi è chiaro a tutti. Questo, però, a noi dell’ANPI non interessa, la sorte del governo Renzi non ci riguarda. Ci interessa, attualmente, la sorte di questa Costituzione che, ripetiamo, con questa riforma verrebbe completamente stracciata. E’ vero che la riforma interessa solo la seconda parte della carta costituzionale e non tocca i primi articoli che trattano dei diritti; ma se si prefigura un regime istituzionale autoritario come si prefigura e nascesse quel governo che, per diversi motivi, fosse orientato a “superare” anche la prima parte della Costituzione, rimasta finora in gran parte inattuata ma che rimane un limite al contenuto delle nuove leggi, esso governerebbe sul parlamento – di cui con la riforma detta l’agenda dei lavori e lo stesso statuto dell’opposizione – ed ecco che anche i primi articoli costituzionali diverrebbero indifendibili. Una situazione del genere per l’Italia è pericolosa, vista anche la sua storia politica e legislativa, perché tende ad un sistema di leggi che fa piazza pulita della democrazia parlamentare e prefigura un altro tipo di forma di governo. Questi attacchi, insomma, sono semplici provocazioni a cui noi potremmo rispondere che, tra gli stessi promotori della riforma, vi sono personaggi come Verdini, che è fondamentale anche per la stabilità dell’esecutivo e che essa è sostenuta da tutto il mondo della finanza italiana ed internazionale, ma preferiamo stare al merito”.
Pensa che il centrosinistra, dopo tutta questa battaglia interna legata al referendum, riuscirà mai a ricompattarsi e a tornare ad essere il centrosinistra di un tempo?
«Non lo so sinceramente. Posso dire che l’ANPI auspica sempre la più forte unità delle forze democratiche e antifasciste. Mi viene però da aggiungere che, in questo momento, il centrosinistra per come lo abbiamo conosciuto negli ultimi 10 – 20 anni sia non solo morto, ma sparito già da diversi anni. Mi sembra che non si possa più parlare di centrosinistra ma, eventualmente, di quel Partito della Nazione che è tutt’altra cosa e in tutt’altra direzione. Sinceramente, la vedo molto complicata una riformulazione del centrosinistra»