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il 22 giugno del 1922 nasceva a Roma il comandante Rosario Bentivegna

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Rosario Bentivegna, cento anni da ribelle
Rosario Bentivegna a La Sapienza. Foto ANSA

di Davide Conti. Estratto da "il Manifesto" del 21 giugno 2022
«Sono nato il 22 giugno del 1922, qualche mese prima della marcia su Roma. Quindi si può star certi che non vi ho partecipato!». Era così che Rosario Bentivegna iniziava il racconto della sua esperienza di antifascista e partigiano. Salvo concludere che «la marcia su Roma fu un bluff sul piano militare ma un successo sul piano politico». Non mancava certo di intelligenza e ironia il comandante «Paolo» che aveva guidato il Gruppo di Azione Patriottica «Carlo Pisacane» durante i terribili 271 giorni di occupazione nazifascista della città che ha amato e difeso con le armi: Roma.

L’avvento del fascismo in Italia veniva indicato da Bentivegna non come esito inevitabile, quanto piuttosto come colpa storica della classe dirigente rea di aver inventato una risposta di tale carattere reazionario e regressivo di fronte alla grande questione dell’ingresso delle masse nella vita dello Stato. In una formula: l’indispensabile rifondazione su base democratica del patto collettivo e della sovranità popolare all’indomani della tragedia della Grande Guerra del 1914-1918.

A CENTO ANNI dalla sua nascita, e nel decennale della sua scomparsa (2 aprile 2012), la figura di Bentivegna «insiste» nella memoria storica di Roma e del Paese in ragione del suo lungo operato in seno alla Resistenza e del suo impegno in difesa della democrazia repubblicana. La sua traiettoria biografica coincide in larga parte con quei processi che hanno segnato il ’900 italiano ricollocando il Paese dalla parte giusta della Storia grazie alla «scelta» di combattere il regime dittatoriale imposto ed esportato in tutto il mondo attraverso i mezzi della guerra, dello sterminio di massa e del razzismo di Stato.

Il prologo di ciò che sarebbe stato si manifestò il 23 giugno 1941 quando, ad un anno dall’ingresso in guerra di Mussolini al fianco di Hitler, una manifestazione di studenti universitari protestò contro il richiamo obbligatorio alle armi. Le autorità fasciste segnalarono che l’azione faceva capo ad una «combutta sovversiva formata da elementi operai e intellettuali, con le modalità caratteristiche usate dal partito comunista». La repressione della polizia portò a numerosi arresti. Tra questi Antonello Trombadori, Pompilio Molinari, Paolo Bufalini, Roberto Forti, Mario Leporatti e il diciannovenne Rosario Bentivegna. Due anni dopo quel gruppo sarebbe divenuto la dorsale delle formazioni dei Gap del Pci a Roma.

IL CROLLO DEL FASCISMO e gli oltre cinquanta bombardamenti subiti dalla città spinsero Bentivegna alla scelta armata e all’ingresso in quella dimensione valoriale, umana e politica, che fu la Resistenza. Alla guida di uno dei quattro Gap Centrali «Paolo» ed i suoi compagni (tra cui la medaglia d’oro Carla Capponi, che fu sua moglie fino agli anni ’70) diedero corpo a quel conflitto asimmetrico ed «irregolare» che avrebbe riscritto il diritto dei popoli conferendo legittimità alle lotte per la loro autodeterminazione.

REALIZZÒ DECINE DI AZIONI di guerra contro le truppe nazifasciste tanto nel centro di Roma quanto in quelle periferie che divennero l’habitat naturale e protettivo dei ribelli della città. Nella capitale, dopo la fuga del re e dei generali a seguito dell’armistizio, le cellule dei Gap seguirono la parola d’ordine lanciata dagli Alleati: «rendere impossibile la vita all’occupante nazista».

Bentivegna praticò la guerriglia in Italia e all’estero. Incarnò fisicamente il carattere internazionalista della Resistenza combattendo a Roma e poi sulle montagne del reatino (al comando di gruppi partigiani formati da russi), proseguendo la lotta al fascismo e riscattando il nome del nostro Paese nelle fila della Divisione Garibaldi in Jugoslavia dove i «bravi italiani» erano stati «palikuce» (bruciatetti) e criminali di guerra (...).


Intervista a Rosario Bentivegna sulla Resistenza romana, sulla guerra di liberazione nazionale, sulla strage di Via Rasella e l’eccidio delle Fosse Ardeatine. L’intervista è realizzata da Cecilia Rinaldini nel 2004 in occasione del LIX anniversario della Festa della Liberazione.


Intervista a Rosario Bentivegna di Michela Ponzani, per l'archivio storico del Senato:




Intervista di Rosario Bentivegna da parte degli studenti del Dante Alighieri:



(...) Rosario Bentivegna inizia a svolgere attività clandestina antifascista fin dalla giovinezza, vissuta nell'Italia fascista degli anni '30. Nel 1938, anno della promulgazione delle leggi razziali, aderisce ad un'organizzazione comunista di orientamento politico trozkista denominata "GUM" (Gruppo di Unificazione Marxista). Iscrittosi alla Facoltà di Medicina nel 1940, nel maggio 1941, in pieno regime fascista, partecipa all'occupazione dell'Università di Roma indetta dai GUF (Gruppi Universitari fascisti) in protesta contro la legge che richiamava alle armi gli studenti come "Volontari universitari"; la normativa prescrive una precedente legge che, invece, aveva disposto il congedo provvisorio per motivi di studio per tutti gli studenti universitari in età di leva e in regola con gli esami. Arrestato nel settembre dello stesso anno, Bentivegna viene rilasciato con diffida di polizia.

Nel 1943 aderisce al Pci e dopo l'8 settembre 1943, durante l'occupazione tedesca di Roma, partecipa alla guerra di liberazione dapprima come vice-comandante militare della IV zona garibaldina (Roma centro), poi come comandante del Gruppo di Azione Patriottica (GAP) "Pisacane" quale cellula dei Gap Centrali organizzati dalle Brigate Garibaldi per svolgere operazioni di guerriglia partigiana in città. Fuggito da Roma a causa del tradimento di un compagno, arrestato dalla Banda Koch, continua la Resistenza nel Lazio, a sud di Roma e immediatamente dietro il fronte tedesco di Cassino come comandante militare del Cln nella zona Casilina-Prenestina, fino alla Liberazione di Roma.

Il 5 giugno 1944, appena un giorno dopo l'arrivo degli Alleati nella Capitale, viene coinvolto in uno scontro a fuoco con un ufficiale della Guardia di Finanza, intento a strappare manifesti affissi sui muri che salutano l'arrivo degli Americani e la Liberazione di Roma. Nello scontro cade il tenente della Guardia di Finanza, Giorgio Barbarisi.

Sottoposto a processo dall'Alta Corte Militare Alleata, il 19 luglio 1944, viene condannato in prima istanza a 18 mesi di carcere con l'imputazione di "omicidio colposo per eccesso di difesa". Il 14 agosto successivo, in sede di revisione del processo, gli viene pienamente riconosciuto lo stato di legittima difesa, con assoluzione e immediata scarcerazione.

La sera del 20 settembre 1944 sposa Carla Capponi, sua compagna di lotta nei GAP a Centocelle e sui monti Prenestini dalla quale avrà la figlia Elena.

La mattina successiva su decisione del Ministero della Guerra, viene trasferito in Jugoslavia dove ricopre l'incarico di commissario di guerra presso la IV Brigata della Divisione Partigiana Italiana Garibaldi, reparto regolare dell'Esercito Italiano che opera nel sud della Jugoslavia (Montenegro, Kossovo, Bosnia e Croazia meridionale, Sangiaccato).

Durante il periodo di permanenza in Jugoslavia assolve a compiti di ufficiale di collegamento con i Comandi dell'Esercito Popolare Liberatore Jugoslavo ed assume la responsabilità politica del gruppo dei comunisti italiani che operano nella Divisione (...).

https://patrimonio.archivio.senato.it/inventario/fondi-acquisiti-dall-archivio-storico/rosario-bentivegna


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